Gli obiettivi

Piani offensivi e difensivi

In un primo "Studio di offensiva contro l'Austria", datato agosto 1914, il gen. Cadorna prevedeva che: "la 4ª Armata, mantenendo in genere la difensiva tra il Cadore ed il Passo di Fedaia incluso, prenda l'offensiva tra questo e la Valsugana inclusa, assecondando ivi l'attacco della I Armata contro le opere di Trento."

Nella "Memoria Riassuntiva" del 21 agosto venivano indicati ai diversi Comandanti d'Armata i criteri in base ai quali intendeva agire offensivamente; venivano inoltre precisate le ragioni per le quali l'offensiva principale sarebbe stata effettuata sulla fronte Giulia. "L'avere due Armate distese lungo il saliente Tirolese, l'avere, su questo tratto di frontiera, la maggior parte delle truppe da montagna, quasi indurrebbe a ritenere conveniente un'offensiva decisa alla conquista del Tirolo; ma qualora si pensi alla deficienza di mezzi d'assedio e alla possibile minaccia dalla frontiera aperta del Friuli, si deve senz'altro escludere un'operazione che si prefigga, come obiettivo principale, la conquista del Tirolo. [...] E' quindi l'offensiva attraverso il basso Friuli, la frontiera aperta, quella che deve tenere il primo posto; donde, di massima, compiti difensivi, o parzialmente offensivi, alla I e 4ª Armata; decisamente offensivi alla 2ª e 3ª."

Alla 4ª Armata non venivano affidate eventuali offensive locali (come era stato richiesto alla 1ª Armata) per migliorare le condizioni difensive, ma unicamente un'azione offensiva allo scopo di penetrare in Val Pusteria. Questo principio veniva riproposto nelle direttive del settembre 1914, dove veniva richiesto alla 4ª Armata di "studiare" un'operazione dall'alto Piave verso la Val Pusteria. Il giorno 1 aprile 1915 ("Varianti alle direttive primo settembre 1914") vennero emanate le nuove direttive, che prevedevano per la 4ª Armata di: "iniziare l'espugnazione degli sbarramenti di Sexten, Landro e Valparola non appena siano raccolti i mezzi all'uopo necessari e sufficienti dando all'azione speciale carattere di vigore."

La 4ª Armata aveva avuto soltanto l'ordine di predisporre le operazioni sulle direttrici di Dobbiaco e Brunico, che presupponevano il superamento del sistema fortificato austriaco di Sesto, Landro e Valparola. Non vi è traccia quindi di speciali direttive che avessero indicato di occupare di sorpresa posizioni oltre confine al fine di migliorare le condizioni della difesa. Di conseguenza il 7 aprile il gen. Nava nelle sue direttive vietava di prendere iniziative e riservava a sè stesso qualsiasi decisione relativa all'opportunità "di prevenire il nemico su alcuni punti di terreno di capitale importanza per le successive operazioni". Per evitare che l'Armata rimanesse del tutto inoperosa nell'attesa del parco d'assedio, il 22 maggio Cadorna spedì il telegramma 215 nel quale si ordinava di imprimere alle operazioni "spiccato vigore cercando impadronirsi al più presto posizioni nemiche oltre confine necessarie ulteriore sviluppo operazioni". Relativamente a tale telegramma, scrive il Pieri:
"Sembra che Cadorna intendesse l'occupazione mediante colpi di mano, degli elementi avanzati degli sbarramenti nemici, come il Col di Lana, il Sasso di Stria, il Son Pauses. Ma simili colpi di mano non erano affatto "in conformità direttive aprile 1915", che anzi li sconsigliavano. Nè il Nava nè i due comandanti di Corpo d'Armata li ritennero possibili. Comunque, nè il Cadorna, nè i suoi sottoposti pensavano che si potesse, all'apertura delle ostilità, girare per l'alto gli sbarramenti e penetrare in tal guisa profondamente nel territorio nemico."
La conseguenza di questo fu un ordine del Nava delle 13.30 del 23 maggio: premesso che il nemico avrebbe potuto disporre di grandi forze, avvertì che nelle operazioni tendenti a sorprendere l'avversario occorreva essere "avveduti e cauti". Secondo il suo punto di vista, l'occupazione della conca ampezzana avrebbe potuto "trarre a mal esito nelle operazioni", il Monte Porè sarebbe stato difficile da conquistare e mantenere e l'occupazione del Passo di S. Pellegrino avrebbe dovuto essere effettuata soltanto dopo aver accertato che le forze austriache fossero inferiori alle italiane. I comandanti dei Corpi d'Armata devono dunque "meditare " su tali considerazioni, "far conoscere l'apprezzato loro parere e proporre a ragion veduta, gli atti di prima offesa che, a loro giudizio, si possono meglio compiere senza incorrere in più gravi rischi di quelli cui normalmente sottostanno le azioni di guerra". Consci di queste quantomeno prudenti direttive, il comandante del I CdA (gen. Ragni) rispose di non ritenere possibile l'occupazione di Monte Piana e della conca di Cortina, ed il comandante del IX CdA (gen. Marini) propose di avvicinare le truppe al confine e tentare l'occupazione del Monte Porè e del Monte Padon, e dei passi Fedaia, S. Pellegrino e Valles. Il gen. Nava approvò la risposta del gen. Ragni, mentre delle proposte del gen. Marini accolse solo quelle relative all'occupazione dei passi. Nei giorni dal 24 al 26 di maggio le uniche truppe ad operare furono i bersaglieri dell'8° reggimento e gli alpini del Pieve di Cadore con la 67ª (cap. Busolli) su Forcella Lavaredo, la 68ª (cap. Baratta) sui Frugnoni e la 96ª (cap. Rossi) su Monte Piana e sulle Crode Fiscaline. Il 27 maggio il Comando Supremo ordinò di approfittare del fatto "che il nemico non è in grado o almeno non intende di contrastare seriamente la nostra avanzata [...] per occupare subito quelle posizione oltre confine, la cui conquista, quando il nemico avesse tempo di portarvi adeguate forze, costerebbe a noi grossi sacrifici ". Ed era esattamente quello che stava succedendo: Monte Piana era già stato occupato dagli austriaci! Le truppe del I CdA, il 28 maggio, occupavano Cortina, mentre il IX, su iniziativa del gen. Marini si spingeva ad occupare anche i monti Porè e Padon; l'azione non fu gradita al gen. Nava che scrisse: "L'intendimento, male ispirato, di sorprendere il nemico, di prevenirlo nell'azione [...] trasse, con grave pregiudizio dei risultati, ad affrettare incautamente le operazioni oltre il convenevole." ed esonerò il Marini, addossandogli la responsabilità del fallimento delle operazioni della prima quindicina di giugno. Inevitabilmente, le operazioni iniziate in sorprendente ritardo fallirono, in quanto gli austriaci ebbero il tempo necessario per rafforzare le difese, stendere nuovi ordini di reticolati, ma soprattutto far affluire nuove truppe, tra le quali l'Alpenkorp che inizò a giungere in zona il 28 maggio. Questo fallimento portò di conseguenza al "siluramento" del gen. Nava da parte del Cadorna che gli attribuì il "fallimento dell'offensiva nel Cadore". Il 15 settembre dunque, di fronte agli evidenti colpevoli ritardi nell'avanzata, il gen. Nava veniva sostituito al comando della 4ª Armata dal gen. Di Robilant, che rimase in carica fino alla ritirata al Grappa. Osserva il gen. Fadini che:
"Il gen. Nava comandante della 4ª Armata italiana destinata ad irrompere in Val Pusteria [...] non si muoveva e soprattutto non sapeva che pesci pigliare. Nel giro di poche settimane sarà tra i primi e senz'altro il più illustre tra i silurati di Cadorna: ma intanto è "lentissimo e titubante e nonostante le energiche esortazioni del Comando Supremo dimostra scarso spirito offensivo e soverchio timore delle responsabilità".
Il comando austriaco avevano addirittura previsto lo spostamento del fronte verso il Brennero. Il gen. Conrad, a differenza del gen. Falkenhayn, pensava che gli italiani avrebbero tra il 14 ed il 20 giugno attraversato la zona montana. Il gen. Krafft von Dellmensingen notava che "il nemico non ha intrapreso finora, in nessun punto, nulla di serio. Si vede che non sa cogliere il suo vantaggio."