Il mio diario durante la guerra con l'Italia (di Sepp Innerkofler)

Estratto a cura dell'ing. Otto Langl, Presidente del Club Alpino Austriaco

Mi sono presentato il 19 maggio 1915 alla gendarmeria; ho dormito ancora a casa.

20 maggio

Vado in Val Fiscalina per preparare il bagaglio, ma vengo convocato d'urgenza. Nel pomeriggio al Rifugio Tre Cime. Alloggiamento. Allarme durante la notte.

21 maggio

partito alle 6 del mattino per il Monte Paterno. Neve pessima; si possono osservare senza difficoltà gli italiani dietro la Forcella Lavaredo che schierano le loro batterie e sgomberano le strade dalla neve. A mezzogiorno siamo di nuovo al Rifugio per il rancio. Dopo il rancio, promozione a capo pattuglia. Pomeriggio libero.

22 maggio

Partenza alle 3 del mattino per il Rifugio Zsigmondy; molto faticoso, 3 ore. Da lì, nell'Alta Val Fiscalina e a sinistra della Lista verso il Monte Giralba, dove Forcher ed io vediamo circa 20 uomini. Magnifica discesa con gli sci fino alla chiusa di valle e poi al Dolomitenhof. Partecipiamo al ballo.

23 maggio

Domenica di Pentecoste. Raggiungo il Rifugio Tre Cime e proseguo con Forcher, il caporale Hofbauer e Gottfried sino alle pendici della Cima Ovest di Lavaredo. Abbiamo incontrato una pattuglia di italiani e uno di loro mi ha preso subito di mira con il suo fucile. Ma un simile gesto non gli sarebbe servito molto, sia perché l'avevamo visto noi per primi, sia perché, emozionato com'era, non mi avrebbe certamente colpito. Sono rimasto del tutto tranquillo, anch'io con il fucile puntato. Il giro è stato molto lungo e faticoso. La sera arriva la notizia della dichiarazione di guerra. Il rifugio viene subito sgomberato. Ricevo insieme con Forcher l'ordine di andare sul Monte Paterno per osservare il nemico. Trascorriamo la prima notte di guerra. Sdraiato sul nudo tavolaccio, non riesco a prendere sonno anche perché sono molto stanco.

24 maggio

Sveglia alle 3 del mattino e pronti a salire sul Paterno. Ci accompagnano altri quattro uomini sino alla prima forcella per proteggerci da eventuali sorprese. In roccia fa molto freddo e Gottfried ne risente in modo particolare. Gli italiani sono molto impegnati a scavare trincee a Forcella Lavaredo. Alle 8 parte da Prato Piazza il primo colpo, seguito a brevi intervalli da molti altri. Alcuni cadono anche a Sesto, ma io credevo che l'intera faccenda fosse molto più animata e non limitata a singoli tiri di artiglieria! Forcher ha una scatoletta, che riscaldiamo con una candela: è tutto il nostro pasto di mezzogiorno dopo avere saltato anche la prima colazione, così come si usa in guerra. E noi faremo anche questa senza perdere il buon umore. Però qui si soffre il freddo; è già mezzogiorno e non si vede ancora il sole. Gli italiani piazzano 2 cannoni campali e il destino del Rifugio Tre Cime sembra ormai segnato. Scendiamo alle 5 del pomeriggio. Ricevo un elogio dal capitano, ma anche l'ordine di tornare domani sullo stesso osservatorio; libero di decidere l'orario della partenza e del rientro e di scegliere chi mi dovrà accompagnare.

25 maggio

A tarda notte mi viene detto che dovrò essere sul posto già alle 7 del mattino. Salgo con Piller sul Paterno, mentre Holzer e Pacher si appostano sulla forcella. Alle 8 inizia il ballo. Dobbiamo dirigere il tiro che proviene dalla Croda dei Rondoi ma, purtroppo, sparano così male che con tutta la buona volontà non riescono a centrare un colpo. L'obiettivo è la batteria italiana di Forcella Lavaredo. Nel frattempo apre il fuoco una nostra mitragliatrice e anch'io esplodo due colpi, ma sono troppo lontano. Ormai abbiamo spinto gli italiani a fare fuoco da Forcella Lavaredo sul Rifugio Tre Cime: lo colpiscono al quinto tentativo e il Rifugio comincia a bruciare. Mentre scrivo queste righe sulla parete del Paterno, le fiamme divorano la costruzione e il rogo fra i monti fa un'impressione grandiosa. Laggiù il fuoco, mentre quassù battiamo i denti dal freddo. Gli italiani hanno shrapnel di piccolo calibro. Mentre il Rifugio brucia, viene sgomberato il Seehotel. Adesso, grazie al Cielo, è arrivato il sole. Il tutto mi sembra più interessante che pauroso e terribile. Verso le 2 del pomeriggio riceviamo l'ordine di rientrare. Il capitano mi chiama per dirmi che domani dovrò tornare sul Paterno. A mezzanotte mi viene ordinato di trovarmi lassù alle 7 del mattino.

26 maggio

Partito con Forcher alle 6, arrivo sul Paterno alle 8. Alle 8,30 inizia di nuovo il ballo. Il tiro non è molto preciso, ma gli shrapnel hanno un buon effetto e costringono gli italiani a ripararsi dietro la Cima Piccola di Lavarcelo. Ora la forcella potrebbe essere occupata. Lo diciamo: la proposta viene accolta e i nostri cominciano ad avanzare, ma vengono investiti subito sul fianco da colpi provenienti dalla forcella fra il Paterno e la Croda del Passaporto. Vista la situazione, dico a Forcher che dobbiamo spingerci fino alla cima e iniziamo immediatamente a salire. Mi fischiano, è vero, un paio di confetti vicino agli orecchi, ma la pelle è salva e quando arrivo sulla cima sento sotto di me il crepitio di un tiro rapido. Mi spingo ancora più avanti e comincio a lisciare il pelo sulla schiena di quei signori; dopo tutto loro sono in 20. Anche Forcher mi dice che dalla forcella superiore qualcuno ha attentato alla sua pelle, ma ha fatto solo un buco nell'aria. Spariamo circa 35 colpi, ma gli italiani sono ormai scomparsi e ci sembra di averne feriti un paio. Torniamo al nostro osservatorio. Tutta la Forcella Lavaredo è stata sgomberata, anche i cannoni vengono tolti dalle loro piazzole e la fanteria è al riparo dietro la Cima Piccola, così come abbiamo già comunicato. I nostri riprendono l'attacco con l'appoggio dell'artiglieria per conquistare l'insellatura. Scendo subito per avvertire che il fianco sinistro è ormai libero, ma che dietro la Cima Piccola sono schierati circa 70 uomini e non si può avanzare perché si verrebbe investiti dal loro fuoco. Per primi, quindi, dovrebbero muovere quelli più vicini alla Cima Piccola, ma la neve è troppo pesante per consentire una rapida progressione. Il tenente mi invita dal capitano per riferire. Questi, però, fa proseguire l'attacco e i nostri raggiungono effettivamente la forcella. Ma qui vengono attaccati dagli italiani che si erano ritirati a sud della Cima Piccola e devono subito ripiegare. Perdiamo purtroppo due uomini, che restano abbandonati sul terreno, mentre cinque feriti, di cui uno grave, vengono portati in salvo. Di nuovo una notte molto agitata. Mio cognato è già partito con sei uomini per raggiungere la forcella del Paterno, ma viene fatto rientrare perché i comandi superiori hanno deciso di rinunciare all'attacco. È comprensibile la sua gioia per non dover resistere lassù tutta la notte, e sono contento anch'io che avrei dovuto sostituirlo domani.

27 maggio

Alle 8 del mattino parto con Piller per raggiungere di nuovo l'osservatorio. Nel frattempo è morto il giovane con le ferite all'addome. Alle 9,30 arriviamo al solito posto e vediamo anche i due cadaveri che giacciono a terra. Erano entrambi vecchi tirolesi del 95° reggimento. All'inizio non riusciamo a scorgere nulla, come se sulla Forcella Lavaredo fosse scomparsa ogni traccia di vita; ma poi, a sud della Cima Piccola, notiamo ogni tanto un certo movimento: di sicuro i nemici sono ancora nascosti lì dietro. Molto più in là, presso la capanna Kefer, ne vediamo parecchi e pensiamo che stiano schierando alcune artiglierie, ma anche questo lo abbiamo già comunicato. La Forcella Lavaredo non può essere tenuta da nessuno dei due avversari e ammiro la tenacia degli italiani che vi sono rimasti cosi a lungo. Alle 9 di sera cominciamo a scendere, ma prima invio ancora un colpo alla vedetta italiana che, al momento del cambio, deve sempre correre. Al rientro il capitano mi dice che domani sarò libero. Devo però aggiungere che stavo per rimetterci la pelle a causa di un sasso lasciato cadere da mio cognato.

28 maggio

Resto tutto il giorno a casa. Alla sera risalgo la Valle di Sasso Vecchio e arrivo alle 8.

29 maggio

Al mattino riposo. Nel pomeriggio si provvede a ricuperare legna e tavole dal Seehotel, che viene completamente demolito.

30 maggio

Tempo cattivo; si prosegue con la demolizione dell'albergo. Non ci vado molto volentieri, perché quei tipi sparano da tutte le forcelle; ma per fortuna sempre a vuoto. Nel pomeriggio si spala la neve presso il mio rifugio perché ogni uomo può disporre per dormire di soli 35 centimetri. Alle 5 vorremmo tornare all'albergo per prendere altro legname, ma piove a dirotto e arriviamo solo fino al rifugio. Le cose non andrebbero poi tanto male se non avessimo sempre i piedi bagnati. La sera comincia la lotta per l'esistenza. C'è chi possiede un materasso ma non trova posto; un altro trascina all'interno una slitta e anche 2 tavole, perché così è sistemato. È veramente triste vedere giovani ragazzi costretti a pernottare all'aperto.

31 maggio

Violento fuoco di shrapnel da Pian di Cengia sul Seehotel e sulle trincee. L'albergo, colpito 5 volte, non brucia ancora, ma non ha certo un aspetto migliore del rifugio incendiato. Si porta via il possibile finché ci si fida a raggiungerlo, e vengono ricuperati telai di porte, lettiere e tavoli. Riceviamo l'ordine di recarci sul Pizzo Mattina per osservare la Forcella di Pian di Cengia. Vediamo soltanto un pezzo d'artiglieria e qualche italiano. Comincia a nevicare, fa molto freddo e alle 3 del pomeriggio rientriamo alla base bagnati fradici.

1 giugno

Freddo, pioggia. Torniamo al Seehotel per prendere alcune travi, perché gli altri non ne hanno il coraggio e così si continua a sistemare il ricovero. Alle 10 di sera il capitano mi ordina di andare domani sul Monte Popera. Scendo con Christl e Forcher fino a Sesto.

2 giugno

Vigilia del Corpus Domini. Volevamo raggiungere il Dolomitenhof, ma arriva solo Forcher e trascorriamo parte della notte a Bagni di San Giuseppe. Partiamo alle 24, a stomaco vuoto.

3 giugno

Il tempo è molto incerto. Riposiamo un'ora sul prato perché Forcher non si sente troppo bene e arriviamo alle 3,30 al distaccamento dell'Unterbachern. Da qui iniziamo la salita verso la Busa di Fuori di Cima Undici. Defilati alla vista, raggiungiamo la nostra meta già alle 7 e stiamo in osservazione fino alle 11 con ottimi risultati. Riusciamo a stabilire con una buona approssimazione l'entità complessiva delle forze nemiche, comprese quelle che si trovano dietro le Tre Cime di Lavaredo. Due pezzi d'artiglieria sono schierati sul versante orientale di Col Quaterna. Christl, naturalmente, non è con noi e nemmeno Forcher è in condizioni di affrontare altre fatiche. Arrivo alle 13 a Unterbachern, telefono al capitano Jaschke e ricevo per tutta risposta l'ordine di tornare subito al Rifugio Tre Cime. Chiamo Forcher, sceso nel frattempo verso valle, ma non ricevo risposta. Così mi dirigo tutto solo verso il rifugio e senza poter mangiare perché Forcher ha anche i miei viveri. Stanco morto, mi fermo almeno 15 volte e arrivo al rifugio alle 6 di sera, dopo avere camminato 18 ore quasi sempre sulla neve. Il capitano mi convoca immediatamente per ascoltare dalla mia viva voce i risultati della missione. Il rapporto dura parecchio, ma alla fine il capitano mi offre un litro di vino e 25 sigari Portorico. Bevo un'intera bottiglia di "Kalterersee" e il vino a pasto non mi è mai piaciuto tanto come stasera. Il capitano dice che mi devo riposare. Così è trascorso il giorno del Corpus Domini.

4 giugno

Risultano colpiti due uomini con un carico di viveri, ma non sappiamo se siano morti oppure soltanto feriti. Pepi ci rifornisce nuovamente di vino, speck e pane. Gli dico di percorrere insieme con il suo compagno la Valle di Sasso Vecchio. Osservo poi se i due giovani seguono l'itinerario da me indicato e loro, infatti, si attengono esattamente alle mie istruzioni. Purtroppo abbiamo avuto già due morti e due feriti. Questi vengono ricuperati durante la notte e trasportati al rifugio. Si lamentano e chiedono continuamente acqua, impedendo anche a noi di dormire.

5 giugno

Ho lavorato anch'io per completare la costruzione della baracca in modo da poterla occupare nel pomeriggio. È così defilata, che la si può scorgere soltanto dal Passo Cavenga. Parlo con il soldato ferito all'addome. Dice di non sentirsi troppo male e che attende di essere trasportato a San Candido. Tre minuti dopo quel povero diavolo muore. Il ferito alla testa viene portato a San Candido. Siamo convinti che avremmo dovuto farlo noi stessi, perché i soldati della Sanità sono capaci solamente di dormire e di mangiare come se fossero animali. Nel tardo pomeriggio occupiamo la nuova baracca. Quello che ha ricevuto un colpo di striscio resta con noi perché la sua ferita non è grave.

6 giugno

Di nuovo in ozio sino a mezzogiorno, poi ricevo l'ordine di tornare sul Monte Popera e di inviare due uomini sul Crodon di San Candido. Designo per quest'ultimo incarico Forcher e Piller; con me vengono Filler e Rogger. Il capitano mi ha detto che gli italiani, occupato il Rifugio Zsigmondy, si sono spinti fino sulla Lista. Nel pomeriggio scendiamo a Sesto e raggiungiamo di sera il Dolomitenhof. Sono venute anche mia moglie, Adelheid e Mizzi. Andiamo a letto alle 8, ma sul solo materasso a molle dormo ben poco. Mi svegliano alle 11,30 e partiamo a mezzanotte.

7 giugno

Possiamo affrontare la salita con tutta calma; raggiungiamo alle 3,30 le rocce e lì riposiamo sino all'alba. Osserviamo il Rifugio Zsigmondy e la Lista. Cominciamo a credere che il fuoco aperto contro la pattuglia sia stato solo frutto d'immaginazione, perché in tutta l'Alta Val Fiscalina non vi sono tracce sulla neve. Procediamo lentamente e arriviamo verso le 5 sulla cresta a est di Cima Undici. Il tempo è molto incerto e ci impedisce di assolvere il nostro compito. Solo dopo un'attesa di 9 ore riusciamo a effettuare le nostre osservazioni nelle varie direzioni e possiamo accertare che nella zona di Col Quaternà gli uomini e le artiglierie si sono spostati molto più indietro; a Camporotondo sono giunti rinforzi; circa 3 compagnie e 1 batteria per Monte Croce e i Colesei. Alle 2,30 del pomeriggio, dopo aver constatato che a Forcella di Pian di Cengia e al Passo Fiscalino non c'è nulla di nuovo tranne qualche posto di vedetta rinforzato, cominciamo a scendere. Arriviamo alle 7 di sera e comunico quanto visto al comando dello sbarramento.

8 giugno

Risaliamo la Valle Campo di Dentro con tre portatori carichi di viveri e munizioni e arriviamo a mezzogiorno alla nostra "villa". Nel pomeriggio mi presento al capitano Jaschke per riferirgli quanto ho potuto osservare durante il bombardamento di Monte Piana. Gli italiani si sono nuovamente trincerati nella parte più bassa, mentre i nostri hanno occupato le posizioni nemiche presso il monumento Toce. Gli italiani sparano con obici pesanti da Misurina su Landro e sulla Croda dei Rondoi. Di sera, al buio, raggiungo il tenente Tranoska nel suo posto avanzato e lo metto al corrente delle ultime novità, perché loro sono praticamente isolati dal resto del mondo. Rientro alla base dopo avere bevuto due bicchieri di vino. Avessimo ora quel vino, bevuto talvolta anche troppo: adesso sì, sarebbe veramente necessario!

9 giugno

Per il momento non ho nulla di importante da fare e scrivo soltanto un paio di cartoline ai signori Witzenmann e Steinrich. Durante la notte sul 10, violento fuoco di artiglieria dalla Capanna Kefer su Monte Piana e da Misurina sulla Croda dei Rondoi. Resto sveglio sino alle 2.

10 giugno

Mattinata di attesa. Il pomeriggio scendiamo nella valle della Rienza a caccia di camosci e di sera arriva la notizia che una compagnia italiana sta risalendo quella valle. Ma eravamo noi e posso assicurare che non c'è alcun pericolo.

11 giugno

La mattina vado con Benitius Rogger sulla Torre di Toblin. Appena giunti in cima, i nostri cominciano a sparare da Monte Casella sul Pian di Cengia e possiamo correggere il tiro. Siamo sicuri di avere visto cadere 3 o 4 colpi sull'accampamento. Contati 15 colpi in arrivo. Direzione giusta. A mezzogiorno siamo di nuovo nella baracca e dormiamo tutto il pomeriggio. Adesso ci annoiamo molto. Solo su Monte Piana c'è sempre tanta animazione. Si combatte in genere tutta la notte e spesso anche di giorno. Da qui possiamo distinguere il fuoco delle artiglierie, delle armi portatili e delle bombe a mano. I nostri sono ora in cima e dispongono anche di piccoli cannoni. Speriamo che possano resistere e impedire così agli italiani di scendere lungo la strada ampezzana. Sarebbe per noi un gran brutto colpo.

12 giugno

Mi reco con Purcher sul Crodon di San Candido e vediamo gli italiani che stanno sbucando sulla Lista e da cinque a sette uomini appostati sulle Crede Fiscaline. Non riusciamo però a distinguere se siano nostri o nemici. Una pattuglia italiana si è spinta anche sul Collerena. Mentre scrivo, sentiamo alcuni colpi di artiglieria nell'Alta Val Fiscalina. Sono le 11 e ritorniamo alla base. Proprio in questo momento Monte Piana viene nuovamente investito dal fuoco; lassù deve fare molto caldo perché gli italiani vogliono ad ogni costo quella cima. Ma non ci riusciranno. Nel pomeriggio riposo.

13 giugno

Mi viene affidato il compito di andare con una pattuglia su Cima Una, ma senza subire la minima perdita. La Lista, le Crode Fiscaline e il Pulpito Alto sono stati occupati dagli italiani. Dico che è possibile, ma bisogna salire lungo il versante nord-orientale. A mezzogiorno partiamo per Sesto e Bagni di San Giuseppe, dove mi accompagnano moglie e figlie. Ho avuto in rinforzo 4 Landesschützen. Mi è stato anche detto che i nostri occupano il Pulpito Basso, ma la notte sul 14 si sente un nutrito fuoco di fucileria nell'Alta Val Fiscalina e non possiamo essere più sicuri che questa posizione sia ancora in nostro possesso.

14 giugno

Partenza alle 4 del mattino. Filler era sfinito e così siamo rimasti in 9. Iniziamo a salire lungo il Canalone II alle 6,50 e procediamo senza difficoltà. Alle 9,30 arriviamo all'altezza del Pulpito Basso e voglio controllare se è ancora occupato dai nostri. Vedo tre o quattro uomini in alcuni appostamenti rivolti verso il Pulpito Alto. Uno di questi si alza per togliersi il pastrano, rimanendo così per qualche istante scoperto. Dall'alto parte subito un colpo; il soldato lascia cadere il pastrano e si getta di nuovo dietro il riparo. Adesso siamo sicuri che sono austriaci. Gottfried ed io percorriamo una cengia agitando i berretti per indicare che li possiamo liberare dal fuoco del Pulpito Alto. Ma forse il comandante Jelinek non è stato avvisato dal Rifugio Tre Cime che sarei salito con una pattuglia su Cima Una, oppure il comandante della postazione è un asino! Appena finito di sventolare i berretti riceviamo una salva di colpi. Ci mettiamo al coperto e mi spingo un po' in avanti per vedere meglio. Sono convinto che sono i nostri, ma mio fratello e Happacher vogliono rispondere al fuoco e faccio fatica a trattenerli. Riceviamo circa 20 colpi, di cui uno a brevissima distanza dal naso di Happacher. Una situazione del tutto assurda che ci fa perdere un'ora e mezzo. Mi decido a gridare: "C'è lì Jelinek?", ossia il comandante. Dopo il mio richiamo smettono di sparare. Mi alzo e urlo ancora una volta: "II comandante Jelinek? Qui la pattuglia di Sesto!". "Sta bene!" viene risposto. Possiamo cosi riprendere la salita e impieghiamo un'altra ora per portarci più alti del Pulpito. Ci siamo fermati a 50 metri dalla Cima. Guardiamo in basso, ma senza vedere italiani e ci concediamo una breve sosta per riposare e rifocillarci. Guardo attraverso una fenditura della roccia e scorgo tre italiani che parlano fermi sulla terrazza, dove sono sicuri di non essere visti dalla nostra posizione del Pulpito Basso, ma del tutto ignari del pericolo che incombe sulle loro teste. "Ora, dico, diamo inizio alle danze. Alzo 600!". Arriva in questo momento un altro italiano con un po' d'acqua e un altro ancora, che si apposta dietro un masso sporgendosi poi da un suo lato per sparare contro i nostri. "Via, fuoco!". Non sparo male, segno evidente che ho stimato bene la distanza. Christl e alcuni altri salgono di circa 30 metri per poter battere le Crode Fiscaline. Lì la distanza è di soli 180 metri, ma si trovano in una posizione più pericolosa perché esposta al tiro da due parti. Sostengono di averne uccisi almeno 3 e feriti altri 4, finché un colpo sparato da un italiano non strappa via il fucile dalle mani di uno di loro, deformandone la canna. Tre o quattro nemici sono nascosti dietro lo spigolo e aprono il fuoco contro Christl e i suoi uomini che si trovano più in alto. Ordino di sparare senza soste oltre la cresta anche se non vediamo niente. Si ristabilisce così la calma e quelli che stanno li sopra non vengono più disturbati dal basso. È giunto ormai il momento di rientrare. Vediamo ancora tre italiani sparire dal Pulpito, ma non riusciamo a colpirli perché sono già a brevissima distanza dalla forcella. Si sono accorti da soli di non poter resistere su quella posizione. Ma ora devo ricuperare Christl e gli altri, perché da soli non riescono a scendere. Dopo averli legati con la corda li calo sino alla nostra postazione, dove mangiamo ancora un po', per poi iniziare alle 4 la discesa. È un lavoro veramente faticoso far scendere nove uomini lungo 1.100 metri di parete. Giunti all'altezza del Pulpito Basso ci viene rivolto un forte "Evviva!". Rispondo che l'accoglienza di questa mattina non è stata certo molto piacevole. Alle 8 siamo di nuovo alla base delle rocce e tutti di ottimo umore. Ci fermiamo al mio posto di ristoro per spillare 3 litri di vino. C'è una piccola botte proprio per i militari e riteniamo sia il caso di approfittarne. A Bagni di San Giuseppe non troviamo nessuno, ma a San Giuseppe siamo attesi con ansia. Ci vengono offerti altri 2 litri di vino. Alle 10 di sera riferiamo al tenente colonnello l'esito dell'azione e tutti quei signori si dimostrano oltremodo gentili.

16 giugno

Vado a trovare Jesacher e Mayr al caposaldo 4.

17 giugno

Il mattino mi reco a San Candido, nel pomeriggio dal tenente Pittner che mi ordina di salire con la pattuglia su Cima Undici. Dico che abbiamo bisogno di uno Zeiss a 15 ingrandimenti. Si provvede subito a telefonare al Rifugio Tre Cime. Risposta: "Già inviato!". Alle 11, tuttavia, lo Zeiss non è ancora arrivato: dovremmo partire, ma non possiamo assolvere il nostro compito senza il binocolo. La missione viene rinviata a domani.

18 giugno

Il mattino riposo, nel pomeriggio raggiungiamo il Dolomitenhof. Partenza alle 23,30. Ci accompagnano il caporale Happacher, il Landesschütze Kock, un cappellano di Innsbruck e mio figlio.

19 giugno

Iniziamo a percorrere l'Unterbacherntal, ma il nostro posto di guardia ha troppo paura e ci intima l'altolà a 200 passi di distanza. Siamo costretti a rispondere con la parola d'ordine a voce cosi alta da farla udire anche dagli italiani. Saliamo ora verso la Busa di Fuori. Avviso che gli italiani potrebbero avere occupato una posizione molto vicina al nostro itinerario e raccomando di procedere con la massima cautela. Proprio mentre sto per superare l'ultimo masso una pietra rotola verso di noi e ci buttiamo tutti a terra. Il cappellano e io siamo allo scoperto. All'inizio penso che si tratti di un gallo cedrone. Avanzo tuttavia strisciando per guadagnare un po' di quota. Ma non si avverte più nulla. Data la nostra prudenza non è un miracolo che si sia riusciti a passare a così breve distanza dal nemico. Possiamo riposare sul nevaio e arriviamo prima delle 3 alle rocce. Dobbiamo ancora attendere che spunti il giorno, ma sulla Lista vediamo già gli italiani. Se fossimo stati individuati, avremmo certo ricevuto anche a questa distanza una scarica di quei confetti che distribuiscono sempre con tanta generosità. All'alba riprendiamo il cammino e arriviamo alle 4,40 su Cima Undici. Fa piuttosto freddo e c'è poca visibilità. Effettuiamo le nostre osservazioni per quanto possibile nelle varie direzioni: dalle Tre Cime di Lavaredo a Col Quaternà stimiamo che gli italiani abbiano schierato da 4 a 5.000 uomini ed è probabile che dispongano anche di consistenti riserve. Ma per avanzare dovrebbero essere almeno 9 volte più forti! Accertiamo la presenza di una batteria sui Colesei; prego il cappellano di fare uno schizzo ed egli aderisce volentieri alla richiesta. Quando sorge il sole siamo tutti di ottimo umore e ci proponiamo di fare una visita agli italiani che sono sulla Lista, anche perché da qui potremmo arrivare sino a 700 passi dalla loro posizione. Ma, alla fine, prevale il buon senso, perché se cedessimo a questo desiderio la prossima volta ci troveremmo nell'impossibilità di percorrere lo stesso itinerario. Nel frattempo cerco la via di discesa verso il Vallone Popera; un percorso già individuato vent'anni fa. In mezz'ora arriviamo sul Ghiacciaio Pensile e, successivamente, su quello del Vallone, senza incontrare difficoltà. Proseguiamo tranquilli attraverso la conca sino alla Gobba Grande di Popera, per poi scendere lungo quella gola sui boschi del Pineto. Durante la discesa sparo a un camoscio, ma senza cogliere nel segno. Siamo tanto vicini agli italiani che non ci possiamo permettere di esplodere molti colpi, e così il camoscio si salva! Attraversiamo il Pian di Sella inferiore per raggiungere San Giuseppe, ma sempre nel bosco, prima di sbucare sulla strada, veniamo fermati da una nostra pattuglia, e ci avviarne assieme verso casa. Alle 3 del pomeriggio siamo a San Giuseppe, dove la gendarmeria ci offre 2 litri di vino. Giunti a Sesto, ci viene a trovare il tenente Pittner per informarsi sull'esito della missione.

20 giugno

Riposo e mi limito a riferire quanto visto al comando dello sbarramento.

21 giugno

Promosso Oberjäger e riposo. Al mattino mi convoca il capitano, ma, considerata tutta la neve caduta da domenica, rimandiamo alle 6 del pomeriggio la decisione se iniziare o meno un'altra attività di pattuglia. Invece dell'ordine di missione ricevo la piccola medaglia d'argento; così, lo stesso giorno, vengo promosso da comandante di pattuglia a Oberjäger e anche decorato!

22 giugno

Alle 3,30 del mattino violento fuoco dell'artiglieria austriaca su Monte Croce e Col Quaternà, ma senza reazione da parte avversaria. Resto tutto il giorno inattivo.

23 giugno

Mi reco dal dottor Loimer a causa del mio ginocchio.

24 giugno

La mattina nulla di particolare, la sera vado a pernottare al Dolomitenhof dove trovo il cappellano Hosp, il sottotenente von Schullern, il professor Goller, un sottotenente degli Standschutzen di Innsbruck, l'attendente del sottotenente von Schullern e un Oberjäger di Harnischeck.
[A questo punto manca una pagina del Diario]

25 giugno

A metà della Lista vi sono 3 tende, un po' più indietro, verso Forcella Giralba, un soldato in vedetta e verso il Rifugio Zsigmondy e l'Alta Val Fiscalina un appostamento per due uomini che controlla la nostra via di salita alla Busa di Fuori. Dalle tende spuntano ogni tanto 2 o 3 italiani, che poi rientrano a carponi nei loro ripari. Fra tutti non dovrebbero essere più di venti uomini. Ci mettiamo in qualche modo al coperto. "Adesso" dico "riscaldiamo l'ambiente cominciando dalle loro tende". Iniziamo subito. Il tiro rapido di 7 fucili fa molto chiasso. Sul momento gli italiani non capiscono da dove provengano i colpi e non rispondono al nostro fuoco. I primi a reagire sono quelli di Forcella Giralba, poi qualcuno si apposta nelle vicinanze del Rifugio Zsigmondy e solleva ogni tanto la testa. Noi spariamo di nuovo e si vedono alcuni uomini zoppicare dietro la cresta, ma di sicuro vi sono morti e feriti anche sotto le tende. Gli italiani a Forcella Giralba ci investono adesso con un fuoco violento, ma per nostra fortuna sparano veramente male. Il mio fucile ormai scotta e mi rimangono solo 3 cartucce; mi ritiro sino ad essere completamente al riparo per far raffreddare l'arma e prendere altri colpi dalle giberne. Ritorna in questo istante il sottotenente von Schullern con i suoi uomini, senza aver potuto fare nulla a causa della nebbia. Il sottotenente prosegue diritto e io lo avviso di stare attento perché gli italiani sparano come matti da Forcella Giralba. Mi chiede come possa raggiungere il mio primo riparo. Ma dovrebbe risalire un pendio molto ripido e lo consiglio di scendere invece un po' a sinistra. Il sottotenente si è appena allontanato, quando sento il rombo di un cannone e subito dopo il brontolio di una granata. Pensare che sia destinata a noi e gettarmi al coperto è solo questione di un attimo. Ero già protetto dal tiro diretto dei fucili, ma questa veniva da molto lontano. Subito dopo vedo sassi e schegge volare sulla mia testa. Già questo primo colpo è molto preciso e cade proprio dov'ero seduto un minuto fa, forse a 10 passi dal sottotenente e ali'incirca alla stessa distanza da Gottfried e gli altri. Dopo i primi colpi di fucile mi sono spinto piuttosto a sinistra, abbandonando il mio appostamento situato sull'estrema destra. Resto naturalmente al riparo e tutti, tranne Gottfried e Goller, raggiungono la mia buca prima dell'arrivo della seconda granata, Questa cade 10 metri sopra le nostre teste e subito dopo spunta sulla destra anche Gottfried. Hosp comincia a lagnarsi e dice che ormai siamo perduti. Rispondo di non avere paura; non possiamo privare il nemico del piacere di spararci addosso, ma nessuno di noi è stato ferito e siamo al riparo e questa è la cosa più importante. Restiamo sdraiati almeno un'ora; il cappellano ritiene che non vi siano più vie d'uscita, ma io sono sicuro che riusciremo a cavarcela, purché ci si muova. Dico al sottotenente di voler compiere un tentativo; tutti gli altri dovranno seguirmi uno alla volta e molto distanziati. Devo superare circa 400 passi per poter raggiungere il prossimo riparo. Arrivo nelle sue immediate vicinanze sentendo il sibilo di una sola pallottola. Chiamo, sono lieto di udire la voce di Goller, no, non m'interessa dove sia, mi basta saperlo in salvo. Mi getto nel canalone e nello stesso istante, poco al di sopra, scoppia una granata fra le rocce, ma anche questa volta senza fare danni. Adesso inizia un fuoco di fucileria, come non avevo mai sentito. Mi sembra che duri anche troppo a lungo e dico a Goller, sdraiato circa 30 passi più a destra, che questa volta siamo sfortunati e non tutti riusciranno a seguirci. Goller mi chiama, sente delle voci, stanno arrivando, e all'improvviso il sottotenente si getta per primo nella mia buca dicendo: "Le loro intenzioni sono buone, ma finora non hanno colpito nessuno". Così, uno dopo l'altro, arrivano tutti nell'avvallamento; il quarto è mio figlio che rotola con un bel sorriso addosso al professor Goller. L'ultimo è lo Schutze di Enneberg, che mi dice di essersi fatto distanziare dagli altri, perché da soli si è più sicuri. Ha ragione: con il sottotenente si sono mossi in troppi, attirandosi contro tutto il fuoco dei fucili e i proietti dell'artiglieria. Per poterci muovere attendiamo l'arrivo della nebbia. Aveva già avvolto Forcella Giralba, poi il Passo Fiscalino, da dove arrivano le granate, ma mai contemporaneamente. Nel frattempo Forcher comincia a sparare da Cima Una e speriamo che il suo fuoco distolga da noi l'attenzione del nemico. Osservo le posizioni italiane di Forcella Giralba. Vi saranno forse dai 60 ai 100 uomini, certo non di più. Vedo anche alcuni civili e mi sembra che stiano costruendo una postazione in cemento. Sul pianoro alla testata della valle, proprio da dove arrivano i colpi, scavano trincee. Le vedette del Pulpito e delle Crode Fiscaline sono sparite dietro i loro ripari non appena Forcher ha iniziato a sparare; saranno circa in dieci. Stimo che sul pianoro e a Forcella di Pian di Cengia non vi siano più di trenta uomini, ma sono postazioni ben defilate alla vista che si potrebbero conquistare solo subendo molte perdite. Dopo circa un'ora riprendiamo a muovere in ordine sparso. Gottfried ed io a sinistra, per ricuperare le bombe a mano, tutti gli altri a destra su rocce libere da neve. Noi due, invece, la neve non possiamo evitarla; procediamo molto lentamente ma senza più udire colpi e arriviamo per ultimi sulla Cresta Zsigmondy. Da qui ci portiamo sulla forcella che separa la Cresta da Cima Undici. Scendiamo come l'altra volta lungo il canale sino al Ghiacciaio Pensile e raggiungiamo sotto una pioggia torrenziale la forcella fra Cima Undici e la Croda Rossa. Con un tempo migliore questa traversata sarebbe molto bella anche da un punto di vista turistico. E poi giù per il nevaio sino ad arrivare al Pian Fiscalino, dove incontriamo la pattuglia di Cima Una molto preoccupata per la nostra sorte. Siamo a casa alle 6,30 del pomeriggio e indossiamo uniformi pulite. Appena cambiati si presenta un piantone con l'ordine di raggiungere le baracche. Lì veniamo decorati: Gottfried con la medaglia di bronzo, io con la medaglia grande d'argento. Il tenente colonnello mi dice che posso riferire le novità domani mattina alle 9. Mentre sto per coricarmi arriva il tenente Pittner. Devo presentarmi subito al tenente colonnello per fare il mio rapporto. Raggiungo immediatamente l'albergo di Stemberger, dove sono riuniti tutti gli ufficiali. Il mio rapporto si limita al minimo indispensabile, ma alla fine il tenente colonnello mi dice che un Oberjäger ha fornito una diversa versione, ossia di essere stato soggetto a un fuoco molto violento, che nell'Alta Val Fiscalina vi è un gran numero di soldati nemici e di avere notato un continuo movimento di forze consistenti sulle Crode Fiscaline e sul Pulpito. Rispondo che nella mia pattuglia c'erano anche degli ufficiali, che dalla Cima Una non si può avere visto molto di più di noi e concludo che l'Oberjäger ha sicuramente esagerato. Il tenente colonnello mi congeda e si reca alle 11 di sera da quei valorosi per ascoltarli personalmente.

26 giugno

Riposo.

27 giugno

Riposo fino a mezzogiorno. Nel pomeriggio arrivano 2 compagnie della Leibgarde bavarese e una batteria da montagna con 230 cavalli. Dobbiamo provvedere alla sistemazione del comando della 2ª compagnia e di altri dieci uomini.

28 giugno

Alle 5 del mattino viene celebrata una Messa solenne per il fortunato rientro della pattuglia. Vi partecipa anche il nuovo capitano del Rifugio Tre Cime, che al termine della Messa riceve la Comunione. Mi fa poi chiamare dal parroco: dovrò raggiungerlo al Rifugio domani 29, per fornirgli indicazioni più precise. È un ordine che ricevo molto volentieri, anche perché mi consente di rimanere tutto il 28 a casa.

29 giugno

La mattina presto vado a San Candido a prendere la posta e nel pomeriggio raggiungo il Rifugio Tre Cime. Ma per domani è già arrivato un altro ordine.

30 giugno

Convocato alle 6 del mattino. Devo accompagnare, sempre se possibile, il tenente Heinsheimer sulla Croda Rossa e nel Vallone Popera. Ci mettiamo in cammino alle 7. Fanno parte della mia pattuglia due ufficiali tedeschi, un tenente e il sottotenente von Reitzenstein, Heinsheimer, Goller, Gottfried, Happacher, cinque Schützen e un caporale e un soldato, entrambi bavaresi. Superiamo i Prati di Croda Rossa e ci dirigiamo verso il Castelliere, dove i tedeschi stanno sistemando l'osservatorio per la loro artiglieria schierata sul pianoro e nei pressi dei Prati di Croda Rossa. Si inizia a salire sulla Croda, ma, per il troppo tempo impiegato, non riusciamo a raggiungerne la cima. Abbiamo però la soddisfazione di osservare il tiro dell'artiglieria tedesca, che interviene con granate e shrapnel sulla Croda sora i Colesei. Alla fine, superato il dosso roccioso e arrivati sul nevaio, scendiamo fino all'Alpe di Anderta, dove ci fermiamo a bivaccare.

1 luglio

Piove. Partenza alle 6. Il tenente Heinsheimer vuole salire con tutta la pattuglia direttamente sulla forcella. Gli dico che bisogna prima accertare che non sia occupata dal nemico, possibilità questa da non escludere perché l'accesso dal Vallone Popera è molto più facile.
[A questo punto manca qualche frase del Diario]
Arriva un proiettile sotto di me. Strano, penso, non riescono a colpirmi. Dev'essere come già detto: gli italiani hanno stimato giusto le distanze ma non hanno fortuna. Lo stesso accade al sottotenente von Reitzenstein. Io sono di nuovo dietro al secondo riparo e attendo che mi raggiunga. Adesso riprende a correre e arriva al primo riparo. Mi sposto sull'ultimo tratto, tutto coperto di neve, offrendo un ottimo bersaglio. Chiamo il tenente Heinsheimer per farlo muovere, così almeno solo uno di noi rischia di essere colpito, ma non si decide ad abbandonare il suo posto. Gli italiani stanno forando l'aria che mi circonda come un setaccio ma, grazie al Cielo, non colgono nel segno. Arriva adesso di gran corsa von Reitzenstein senza che le pallottole del nemico riescano a raggiungerlo. Il tenente è sempre dietro al primo riparo; ora può rivendicare per sé tutti i colpi che ci spediscono gli italiani. Io sarei anche disposto ad assumerne una parte, ma in certi casi è meglio astenersi. Goller avvisa che altri otto uomini si sono spinti a sbalzi successivi verso l'alto e questo spiega l'intensità del fuoco. Dico ai nostri di sparare tutte le cartucce di cui dispongono in quella direzione per impedire agli italiani di sprecare in modo così assurdo tanta polvere e tanto piombo. Quando il tenente arriva al secondo riparo, noi siamo già soggetti a una pioggia di proiettili provenienti dalle rocce sotto il Ghiacciaio Pensile, dove gli italiani hanno occupato nel frattempo delle posizioni defilate. Non ci tratteniamo più a lungo sulla forcella anche perché non abbiamo più nulla da fare. Iniziamo la discesa alle 12 e alle 13,50 siamo all'Alpe di Anderta. Il tenente Gruber risale alla sua postazione mentre noi ci dirigiamo verso il Kulewaldplatz, dove i nostri 6 uomini, iniziano una battuta di caccia al capriolo partendo dal cosiddetto Bastrich. Attendo alla posta sino in fondo alla Valle Larga. Vengono scovati 5 caprioli e 1 volpe, io ne vedo due senza riuscire a colpirli. Si sparano in tutto 8 colpi, ma la preda purtroppo è di un solo capo. E così, mentre due ore e mezzo fa eravamo impegnati in una caccia all'uomo, adesso ci dedichiamo per nostro esclusivo piacere a quella dei caprioli! Segno evidente che non siamo affatto impressionati dall'incontro con gli italiani! Alle 6 di sera siamo di nuovo a casa. Risultati: la pattuglia è riuscita a disegnare l'andamento delle linee avversarie da Col Quaternà a Colle della Crodata e tutte le postazioni sul rovescio di Monte Croce. È stata anche stimata la forza dei reparti nemici dislocati nel Vallone Popera, dove abbiamo visto avvicendare 60 uomini.

2 luglio

Riposo. Alle 8 di sera ricevo l'ordine di presentarmi subito in tenuta di marcia con Gottfried e Schranzhofer dal tenente colonnello. Nei pressi delle baracche ci attende una carrozza a 2 cavalli che ci porta al Rifugio Tre Scarperi. Qui troviamo il sottotenente von Tepser pronto a rifocillarci con carne ai ferri e caffè. A mezzanotte andiamo a dormire in una baita.

3 luglio

Sveglia alle 6; si beve una tazza di caffè nero e ci si incammina verso l'altopiano delle Tre Cime. Arrivati alle 9, ci presentiamo al capitano Wellean. Viene poi distribuito il rancio, che mangiamo proprio di gusto.