Nazione Bardi Amilcare

Grado Capitano

Mostrina  5ª / II / 49° Brigata Parma

Ritratto

Nato l'11 marzo 1893 ad Ancona

Morto in combattimento il 12 giugno 1916 in località Rufreddo

Decorazioni

Decorazione Medaglia d'Argento

Comandante di compagnia, primo in testa al suo reparto, guidava con l’esempio i suoi soldati all’attacco. Ritto dinanzi ai reticolati nemici, benché due volte ferito, incitava i dipendenti alla lotta finché lo coglieva la morte.
(Seconda versione)
Alla testa della propria compagnia, si slanciò contro i reticolati nemici, cercando di oltrepassarli. Mirabile per valore e fermezza, incorò, con l'esempio e la parola, i suoi dipendenti, finché cadde ucciso.
Rufreddo, 12 giugno 1916

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Prima della guerra

Amilcare nasce ad Ancona l'11 marzo del 1893. Figlio del colonnello a riposo Angelo Bardi e di Angiolina Bianchi, dopo aver frequentato le classi ginnasiali, si trasferisce con la famiglia a Torino[1] stringendo fin da subito numerose amicizie anche nell'ambiente calcistico, simpatizzando per la squadra del Torino Football Club quando ancora i suoi campioni indossano la maglia a strisce nero-oro. Non ancora compiuti i vent'anni, proseguendo la tradizione di famiglia, entra alla scuola militare di Modena e nel gennaio del 1914, col grado di sottotenente, è inviato al 49° Fanteria (brigata Parma). Il maggiore Martinotti[2], che per primo lo ha alle sue dipendenze, nel lasciare il battaglione all'atto della sua promozione a maggiore, indirizza spontaneamente al padre di Amilcare la seguente lettera:
«Torino, 28.4.914
Egregio signore, non ho il piacere di conoscerla, ma sento il dovere di scriverle, avendo avuto la fortuna di avere alla mia dipendenza suo figlio per due mesi e più. E' un ottimo giovane, che ha piena coscienza dei doveri e che possiede le migliori qualità richieste ad un Ufficiale. Sono veramente dolente di doverlo lasciare perché, raramente, ho avuto la fortuna di essere coadiuvato da un Ufficiale pari suo, e mi auguro che il suo nuovo Capitano sappia apprezzare le sue doti morali ed intellettuali e continuare ad istradarlo bene nel suo servizio. A me resta soltanto il desiderio di poterlo riavere un giorno ai miei ordini, e consigliarlo a studiare ed entrare nella Scuola di Guerra appena potrà. Mi perdoni se l'ho disturbato, ma padre anch'io ho voluto far presente a Lei le ottime qualità, e l'irreprensibile condotta di suo figlio, sicuro di averle fatto cosa grata. Si abbia i miei distinti ossequi.»


La guerra di Libia

Dopo pochi mesi di servizio a Torino, il 4 giugno del 1914 Amilcare parte per la Libia dove, all'inizio dell'estate, le tribù senusse e beduine hanno scatenato una violenta ribellione contro le forze italiane che, dopo la fine della guerra con la Turchia del 1911-12, avevano cercato di consolidare l'occupazione del desolato e vasto territorio cirenaico.

La Grande Guerra

Poco dopo il suo rimpatrio, il 14 maggio del 1915, il neo promosso capitano Bardi parte col suo Reggimento per la frontiera in terra veneta. In treno arriva alla stazione di Sedico-Bribano e percorrendo la valle del Cordevole raggiunge il Passo San Pellegrino. Allo scoppio delle ostilità la famiglia Bardi offre alle ragioni della Patria tutti i suoi elementi validi: oltre ad Amilcare, partono per il fronte anche suo fratello Augusto, ingegnere e sottotenente del 5° Reggimento Genio, ed il marito di sua sorella Emilia, Antonio Zeuli, arruolato col grado di sottotenente d'artiglieria.
Il 24 settembre, in occasione del compleanno di suo padre, Amilcare gli scrive una lettera affettuosa dalla quale traspare il disagio di essere, ormai da lungo tempo, lontano dall'affetto dei suoi cari: «Papà carissimo, Quando quattro mesi or sono l'Italia dichiarava ufficialmente guerra all'Austria, fra l'entusiasmo generale del popolo italiano, mentre il mio cuore di cittadino e di soldato, ebbro di speme e di gloria, esultava per la viva parte ch'io avrei dovuto prendere ai nuovi destino della nostra cara Patria, il cuore di figlio, pensava con dolore al distacco prolungato dal seno della famiglia. Ed oggi, nella ricorrenza del tuo compleanno sento maggiormente questo distacco. Sento più pronunziato, quel vuoto che una persona cara lascia immancabilmente attorno a noi, quando ci è lontana, mentre inevitabili momenti di nostalgia e di tristezza m'assalgono più sovente. Papà carissimo, da quattr'anni io sono costretto a celebrare il tuo compleanno lontano da te, che adoro, lontano dalla cara Mamma, lontano da tutti i miei cari. Ma qui lontano da tutti voi, solo nella quiete delle nostre belle e pittoresche Alpi redente, sperso nell'immensità di un'altissima croda dolomitica, ricoperta di neve perenne, sicuro rifugio di camosci, una gran forza mi sorregge e si è il pensiero che io sono qui per un dovere nobile, santo e giusto quale quello di difendere la nostra cara Patria. Ed oggi, più che mai, io sento il dovere di assicurare i miei vecchi ed amati Genitori che compirò il mio dovere, ispirandomi a quei sacrosanti sentimenti di patriottismo, che Essi stessi mi hanno ispirato; e che saprò rendermi degno del loro nome e del loro affetto. E quando fra pochi giorni il gran disco solare, facendo capolino dalle maestose vette alpine, verrà a darmi il suo dorato saluto, il mio pensiero volerà subito a te, babbo carissimo, e penserò a quegli anni in cui avevo la fortuna di venirti a svegliare di buon mattino per offrirti il mazzo di fiori e porgerti il mio saluto augurale. Ma io son certo, che anche di lontano il mio augurio ti giungerà graditissimo, e oserei dire, maggiormente degli anni passati; e a me sarà di sollievo il pensiero che tu nel dispiacere di aver il tuo Amilcaruccio lontano, troverai la consolazione, di saperlo impegnato nel più sacrosanto dovere, quello che ogni cittadino ha verso la sua Patria. E mentre rivolgo a me stesso l'augurio di poterti riabbracciare, ti prego gradire la parola d'augurio che un figlio può inviare in simili circostanze ad un padre, che ama con tutta la forza e l'esuberanza del suo giovane ed ardente cuore. Addio.»

Il 22 ottobre la compagnia del capitano Bardi concorre all'occupazione del Monte Castellazzo nei pressi del Passo Rolle. Rientra quindi al Passo San Pellegrino dove la neve e il freddo non tardano ad arrivare. Quella sul 1916 sarà tra le più rigide stagioni del secolo; sulle Dolomiti gli uomini, dall'una e dall'altra parte del fronte sfideranno un comune nemico, spietato e inesorabile: il Generale Inverno. Il capitano Bardi scrive più volte a casa cercando di attenuare il disagio che egli, assieme ai suoi uomini, è costretto a patire: «Ti scrivo da una gelida trincea scavata sotto due metri di neve ghiacciata e riscaldata da un semplice braciere affumicante. Questa notte siamo giunti a 24 gradi sotto zero. Sono uscito dai miei reticolati con 8 uomini, alle ore 24 e mi sono spinto a tagliare i loro reticolati. Sembravamo tanti orsi. Vestivamo i camicioni bianchi e strisciavamo sulla neve ghiacciata. Avevamo già aperto un bel varco, quando fummo scoperti e non tardarono le mitragliatrici e la fucileria ad incrociare i loro fuochi su di noi, mentre i fari potentissimi agivano in tutti i sensi battendo il fitto bosco. Era un divertimento, sembrava di giocare a nascondersi...».
«Oggi ho trascorso una giornata triste, avendo assistito per oltre due ore, all'agonia di uno dei miei migliori soldatini [...]»
«[...] e mentre con un nodo di pianto alla gola, io passo in ispezione, coi miei Ufficiali, quelle povere sentinelle intirizzite dal freddo, per portare loro una parola di conforto, il mio pensiero nostalgico vola a mille dolci ricordi. [...]»
«Eccomi qua nell'immensità di queste nevose Alpi ghiacciate tra i miei soldatini che adoro [...] ho camminato per oltre 24 ore, in mezzo alla neve, che nei punti più bassi, ha un buon metro di spessore, e con me i miei poveri, inestimabili soldatini d'oro. Ho compiuto però una bella ricognizione e ne sono felice. [...]»

Per rendere un po' meno acuta la nostalgia dei suoi soldati, nella ricorrenza del Natale il capitano vuol dimostrare la sua riconoscenza ed il suo affetto: «[...] fate propaganda fra le conoscenze, acciocché possa dare un regalino ad ognuno dei miei 250 soldati. Il Natale è una di quelle commemorazioni a cui il soldato è più attaccato, specialmente quando è lontano da tutti i suoi [...] vi ringrazio intanto delle caramelle, che ho mangiato con i miei soldatini. [...] »
Passato l'inverno, a metà maggio, il 49° Reggimento viene trasferito prima a San Vito di Cadore, a sud di Cortina, e successivamente in Valle Ansiei, tra Misurina e San Marco d'Auronzo, dove si accampa tra i secolari abeti della foresta di Somadida. Nella prima settimana di giugno, passando per Misurina, la compagnia del capitano Bardi discende la Val Popena verso il ponte de la Marogna dove resta a disposizione della brigata che, con alcuni reparti del 50° Reggimento, sta partecipando agli attacchi contro Croda dell'Ancona e Punta del Forame. L'11 giugno anche i fanti del 49° sono chiamati all'azione affiancando i compagni contro le posizioni di Val Rufreddo dove gli Austriaci, attestati tra Cimabanche, Croda dell'Ancona, Podestagno ed il Forame, oppongono una ferrea resistenza. Sono già molti a non far ritorno e quelli che rientrano stanchi dalla prima linea descrivono la crudezza dei sanguinosi combattimenti. Il capitano Bardi sente in cuor suo che quella potrebbe essere la sua ultima battaglia e svela alla famiglia le sue preoccupazioni:
«Amati genitori, congiunti carissimi. E' una di quelle giornate piovigginose, tetre ed oscure, che predispongono alla malinconia anche l'animo più allegro, più gaio, più spensierato. Una dolorosa ed insistente nostalgia invade il mio giovane cuore, mentre la mia mente continua a fantasticare pensando al dimani, e brutti presentimenti s'insinuano lentamente nel mio cuore. Cari genitori, fratello e sorella diletti, Antonio[3] carissimo, io mi auguro che questa lettera dolorosa, questo mio ultimo vale, che io v'invio col cuore gonfio di lagrime, ma, che son certo ne costerà a voi molte di più, non vi abbia mai a giungere; ma qualora, il fato crudele mi fosse contrario, qualora il destino avesse deciso irrevocabilmente la mia sorte, qualora mi fosse negata la consolazione di potervi dare un ultimo bacio, un ultimo addio, allora vi prego, parenti adorati di cogliere la mesta, dolorosa notizia con l'animo sereno e tranquillo, con cuore di vera madre Romana. Io muoio tranquillo, perché muoio per un fine giusto, che è santo, muoio di una morte gloriosa e onorata, che non potrà a meno che tornare di conforto ai miei sconsolati genitori. Sì, io muoio tranquillo e sereno, muoio con la vostra immagine scolpita nel cuore, col vostro nome sulle labbra, col pensiero rivolto alla vostra cara memoria. Genitori adorati, io che conosco tutto il bene che mi volete, io so, posso avere un'idea del dolore che vi arrecherà questa notizia, ed a questo pensiero, al par vostro, soffro e mi addoloro! In questo momento solenne, in questo istante di supremo dolore, io comprendo tutto l'immenso significato della famiglia, comprendo ciò che voglia dire Mamma e Papà, e vi chiedo perdono se, qualche volta, ho mancato ai sacrosanti doveri di figlio. E quando il ricordo del vostro Amilcare, il pensiero del vostro amato figlio, vi farà versare una lacrima di dolore, scenda nei vostri cuori sconsolati, come stilla di balsamo salutare, il pensiero che io muoio con animo forte e sereno, poiché muoio per l'onore e la grandezza della cara Patria nostra; muoio inspirandomi a quei sentimenti nobili e generosi, che mio padre e mia madre hanno coltivato nel mio animo, ma pretendo ed esigo da voi altrettanto animo forte nel ricevere la dolorosa notizia. Questa la mia ultima volontà. Questo il mio ultimo desiderio. Addio...»

La morte

Il triste presagio si avvera, purtroppo, il 12 giugno del 1916 in Val Rufreddo, dove il capitano Amilcare Bardi sacrifica la sua giovane vita agli ideali a cui ha sempre tenuto fede. In quei giorni la brigata Parma offre in olocausto novecentonove dei suoi valorosi uomini, tra i quali trentaquattro ufficiali. L'attendente del capitano Bardi, due giorni più tardi, scriverà la seguente lettera:
«Distinta famiglia Bardi - Corso Vinzaglio, Torino
Con mio dolore, in qualità della più fidente persona di suo figlio, mio amato padrone, è mio dovere far conoscere la maniera come lui cadde mortalmente da eroe sul campo dell'onore, ove portò con maniera singolare la sua Compagnia. Avviateci ieri l'altro verso i reticolati nemici, da noi poco distanti verso le ore 10 ant., alle 10 e un quarto circa si iniziava l'attacco. Con calma, con tranquillità non comune, egli sotto il fuoco delle artiglierie, mitragliatrici, lanciabombe e bombe a mano nemiche, resistette ritto, fiero e imperioso per circa tre ore, non curandosene dei pericoli ma incoraggiando sempre i suoi soldati; i quali obbedendo il loro amato Capitano si slanciavano con maniera sorprendente fra i reticolati nemici. Io, ad onor del vero assicuro a loro che non l'ho mai abbandonato e feci il trasporto della salma appena mi fu possibile. Ferito alla bocca ed alla spalla sinistra da mitragliatrice, cadde mortalmente senza minimo lamento, conservando sempre il suo bel viso sereno e la sua bella figura di prima. Tutto quanto aveva in tasca e con sé venne ritirato dal Comando di Batt., il resto della cassetta e tutto quanto era di sua proprietà trovasi presso il carreggio di Regg.to e sarà cura dello stesso a farcela loro recapitare. Gli Ufficiali e i soldati tutti rimpiangono il loro amato Capitano e sono pronti a rivendicarlo appena il caso si ripresenti, e speriamo non tardi. Ieri con gli onori dovuti venne seppellita la cara salma. Io affranto dal dolore di aver perduto il mio amato Capitano (suo figlio) faccio a loro le mie più sentite condoglianze, e distintamente porgo loro i miei saluti. Suo devotissimo soldato Peccheninio Pietro.»

Ed altre lettere di cordoglio giungeranno alla famiglia da parte del Tenente colonnello Clito Nieri, comandante il deposito, dal tenente Ercole Eyzantier, aiutante maggiore del II battaglione, dal tenente colonnello Giuseppe Severino Carezzano, comandante il II battaglione del 49° fanteria, dal colonnello Vincenzo Galasso, comandante del reggimento. A nome di tutti gli ufficiali della 5ª compagnia il tenente Viviani scriverà: «... io, che gli ero vicino nell'assalto, non innanzi a Lui, che Lui primo era innanzi a tutti, posso ben dire che alcuno potrà mai meglio di Lui compiere il proprio dovere. Il Capitano nostro, il suo dovere ha compiuto tutto sino all'ultimo e forse più ha fatto del suo dovere... »
Il capitano Fedele Serra, comandante l'8ª compagnia, si rivolgerà al padre di Amilcare avendolo precedentemente incontrato di persona: «Ill. Sig. Colonnello Angelo Bardi, ...il povero Amilcare è caduto veramente da eroe... La 5ª e l'8ª erano state destinate per andare per prime all'attacco di una posizione difficilissima, e con slancio veramente ammirevole, inseparabile, entrambe le Compagnie, come un sol uomo, si sono precipitate contro i reticolati austriaci: Bardi e Angelini alla testa... Ora abbiamo finito qui ed andiamo via pieni di tristezza e di amarezza per i nostri poveri caduti che dobbiamo lasciare invendicati: il loro esempio però, ci è di sprone per nuove lotte e speriamo di non essere, quando verrà l'occasione, da meno di loro che ci hanno veramente insegnato a morire per la Patria... »
E quell'occasione, per il capitano Serra, verrà fin troppo presto; due mesi più tardi cadrà, anch'egli da eroe, sul Monte Cauriol. Al capitano Bardi, nel settembre del 1916 verrà concessa la medaglia d'argento al Valor Militare. Il suo corpo, sepolto nel cimitero di Fiammes, sarà successivamente traslato al Sacrario militare di Pocol.

NOTE

[1] La famiglia Bardi abita a Torino al n. 83 di Corso Vinzaglio.
[2] Luigi Martinotti, comandante del II battaglione del 56° brigata Marche, cadrà sul campo il 25 luglio del 1915 in Val Popena Bassa.
[3] Si rivolge a suo cognato Antonio Zeuli, sottotenente d'artiglieria.