Nazione Bosio Lauro

Grado Sottotenente di Complemento

Mostrina  7° Alpini, battaglione Pieve di Cadore

Ritratto

Nato il 13 gennaio 1885 a Vicenza

Morto il 21 ottobre 1915 sulla Cresta di Costabella

Decorazioni

Decorazione Medaglia d'Argento

Pur intravedendo il grave pericolo dell'audace impresa, si slanciava all'assalto, alla testa di una squadra, percorrendo una sottile e difficile cresta di ghiaccio, e trascinava i propri soldati nell'arduo sacrificio, lasciandovi, egli stesso, la vita.
Schonleitenschneide, 21 ottobre 1915

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Prima della guerra

Sul finire del 1884 Angela Rubelli sta aspettando la nascita del suo figliolo. Manca ormai poco al lieto evento ed a Vicenza, nella sua casa al numero 1463 di Contrà San Faustino, tutto è ormai pronto per accogliere la nuova vita. Fa molto freddo ed Angela durante il giorno si rintana in cucina, l’unica stanza dove la stufa a legna offre un po’ di tepore. Lì aspetta il ritorno di suo marito che durante il giorno gira le case dei signori o i negozi di strumenti musicali per accordare pianoforti. Gedeone Bosio è infatti un musicista ed in città, nonostante sia solo un giovanotto ventottenne, è riuscito a farsi un buon nome. Quando il 13 gennaio viene al mondo il loro fanciullino, Angela e Gedeone decidono di chiamarlo Lauro, un bel nome che in particolare a suo padre suona molto bene perché gli ricorda, tra l’altro, un ben noto compositore marchigiano. Al primo nome ne aggiungono altri due: Secondo, quale secondogenito, e Desiderato per esprimere il loro compiacimento per un sogno che con quella nascita si è realizzato.
Buon sangue non mente ed anche Lauro, crescendo, assimila da suo padre la passione per la musica divenendo ben presto un valente violoncellista pur non disdegnando, per arrotondare il modesto reddito famigliare, di aiutare il genitore accordando pianoforti od altri strumenti musicali. Lauro coltiva inoltre una grande passione anche per lo sport e viene iscritto nelle fila dell’«Associazione del Calcio in Vicenza» con la quale, nel 1904, ancora diciannovenne, affronta il campionato regionale meritando, dopo la sconfitta inferta al «Reyer Venezia», il bonario appellativo di “aitante mediano”. Prende nel fattempo anche il brevetto di arbitro calcistico e nel 1910, terminando l’attività in campo, svolge il ruolo di cassiere e poi quello di consigliere nel Collegio Direttivo della sua squadra.

La Grande Guerra

Ormai trentenne, lo richiamano al servizio militare col grado di sottotenente del 7° reggimento alpini assegnato alla 67ª compagnia del Battaglione Pieve di Cadore.
Nella notte sul 27 agosto del 1915, al comando del tenente Pocchiola, anche il sottotenente Bosio parte per un’azione in Val Altenstein, lungo il Rio di Landro. L’operazione è stata ideata per impegnare parte delle truppe austriache distraendole dall’azione principale che si sta svolgendo in Val Bacher, nel tentativo di aprire la via verso la Val Fiscalina. Dal rifugio Zsigmondy gli alpini salgono al Passo Oberbacher e proseguono per Forcella Pian di Cengia. Scendendo più in basso dei Laghetti Böden, procedendo in assoluto silenzio, passano inavvertiti sotto le posizioni nemiche dell’Altenstein. All’alba, tra i mughi e gli sfasciumi di roccia, due pattuglie avanzano con tubi di gelatina e pinze tagliafili, ma giunte nei pressi dei reticolati avversari vengono scorte e fatte segno dal fuoco dei tiratori austriaci appostati sulle pendici del Sassovecchio. Inchiodata in quelle posizioni per tutto il giorno, al riparo dei massi e dei baranci, la squadra è costretta ad aspettare il calar della notte per ripiegare quindi, fortunatamente incolume, nelle posizioni di partenza. Tocca ora al plotone del sottotenente Bosio tener impegnati i Landesschützen e nelle prime ore della stessa notte, facendo il minor rumore possibile, si avvia lungo i ghiaioni sotto gli apicchi di Cima Una, quella che gli austriaci chiamano Einser. Dalle parti di Val Bacher gli alpini riescono a bloccare un reparto avversario ed a distruggere i reticolati davanti ad una trincea, ma da altre posizioni gli avversari, ben trincerati, li tengoni sotto tiro. Bosio coi suoi uomini tiene duro per l’intera giornata ma, vista l’impossibilità di ogni ulteriore progresso, al calar della notte si ritira raggiungendo la colonna principale che, durante le stesse ore, ha impegnato gli austriaci lungo la Val Altenstein. Dopo qualche altra sortita, tentata l’ultimo giorno di agosto, il tenente Pocchiola, consapevole di aver svolto il compito assegnatogli, dà l’ordine di sospendere l’azione ed anche il sottotenente Bosio può così rientrare al rifugio Zsigmondy.

Il 15 ottobre tutto il battaglione “Pieve di Cadore” è riunito a Passo Tre Croci per l’imminente attacco alla cima dello Schönleitenschneide, già occupata a metà settembre ma successivamente abbandonata per l’impossibilità di rifornirla di uomini e materiali. In assoluto silenzio, camuffati per confondersi col bianco della neve, gli alpini della 67ª compagnia, agli ordini del neo promosso capitano Pocchiola, nelle prime ore notturne si avviano attraversando le rocce basali del Cristallino d’Ampezzo. Contemporaneamente si muovono altre due compagnie, l’una spingendosi verso il Forame di Fuori, l’altra scendendo in Val Pra del Vecchio. Prima della mezzanotte sul 19 ottobre le compagnie varcano la Forcella Grande facendosi strada nella neve alta mezzo metro. Quelli del capitano Pocchiola, e tra loro il plotone del tenente Bosio, precedono gli altri lungo una sottile cresta di ghiaccio e neve celati dalla foschia che nasconde il chiaro di luna. Ad un tratto la nebbia si squarcia ed una vedetta austriaca avvista gli alpini che avanzano in fila indiana; dà l’allarme ed il combattimento comincia. Gli austriaci sono fortemente trincerati ed appoggiati dall’artiglieria; sulla cesta gli alpini sono invece allo scoperto ed in posizione svantaggiata. Le mitragliatrici nemiche incrociano il fuoco sugli attaccanti che tentano di avanzare verso la Schönleitenschneide ed il Vecchio Forame; in quel tentativo molti sacrificano la propria vita, altri vengono fatti prigionieri.

La morte

All’alba del 21 ottobre il combattimento riprende ma la sottigliezza della cresta impedisce l’impeto dell’azione. Un imperativo fonogramma incita ad avanzare comunque e l’attacco riprende immediatamente. Poco prima il maggiore Buffa di Perrero ha messo al corrente i suoi collaboratori della grave situazione: «Signori Ufficiali, – ha detto - andiamo alla morte, facciamo vedere come sanno morire gli alpini». In testa ai loro plotoni i sottotenenti Bosio e Menini danno il grido e si buttano per primi contro le bocche dei fucili nemici. Alla guida della sua squadra un caporale urla ai suoi uomini: «Fioi, avanti, per l’onor del bataion; chi torna indrio lo copo mi!», ma è lui stesso tra i primi a cadere fulminato da una pallottola. A breve distanza avanza anche il plotone del sottotenente Attilio Formenton, vicentino come Lauro col quale, prima di partire all’assalto, ha stretto il patto di darsi reciproca copertura. Lungo il crinale del Cristallino d’Ampezzo, alla quota di 2.700 metri, tormentata dal fuoco nemico, la fila di alpini si assottiglia sempre più; cadono in molti, ma gli altri non indietreggiano. Nonostante la febbre causata da un’infezione, pur vacillando, il magg. Buffa di Perrero procede imperterrito; una pallottola gli attraversa la coscia ma ancora non lo ferma. Ferito due volte, con l’osso di una gamba frantumato, il capitano Pocchiola continua ad incitare i suoi uomini ad avanzare.
«Mamma mia», sente gridare il sottotenente Formenton a pochi passi da lui. Si gira verso destra e scorge l’amico Lauro accasciarsi col cranio fracassato dallo scoppio di una bomba a mano. Il corpo inerme scivola per il lungo declivio innevato fino ad impigliarsi tra i reticolati. «Non potendo dare noi al caro amico sepoltura, la neve pietosamente lo ricopre ogni giorno di più col suo bianco manto», scriverà Attilio a suo padre ricordando il triste episodio, «Vicenza può star sicura che un vicentino s’è assunta la guardia d’un suo prode figlio e che non sarà pago finché non gli sarà data onorata sepoltura». E mantenendo fede a questo impegno, Attilio veglierà da lontano il corpo dell’amico, mentre alla famiglia verrà data la magra consolazione di una Medaglia d’Argento alla memoria.
L’«Associazione Calco Vicenza» dedicherà a Lauro Bosio ed agli altri suoi giocatori, caduti durante la guerra, una lapide commemorativa.

ritratto
La lapide del Vicenza Calcio ai suoi caduti