Nazione Casagrande Emilio

Grado Soldato

Mostrina  7° Alpini, battaglione Pieve di Cadore

Ritratto

Nato il 3 giugno 1889 a Fregona (TV)

Morto il 2 novembre 1956 a Fregona (TV)

Decorazioni

Decorazione Medaglia di Bronzo

Spintosi arditamente in un trinceramento avversario, veniva afferrato da un soldato nemico, che tentava tenerlo prigioniero. Riuscì però, con grande coraggio, ad atterrare il nemico ed a ritornare al proprio posto.
Monte Piana, 20 luglio 1915

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Ad Osigo, frazione di Fregona in provincia di Treviso, lungo la strada che da Vittorio sale all’altipiano del Cansiglio, Francesco Casagrande lavora nella sua bottega di calzolaio cercando di raggranellare quel che basta per mantenere se stesso e la giovane moglie Luigia. Lei appartiene alla famiglia Azzalini dell’Alpago ed è orgogliosa delle sue origini Cimbre dalle quali, dice lei stessa, le derivano salute e forza d’animo. Francesco ha ventitre anni quando viene al mondo suo figlio Emilio ed il 3 giugno del 1889 si reca lui stesso in municipio, a Fregona, a denunciarne la nascita. Il bambino cresce in fretta ed assieme a lui cresce anche la famiglia che da lì a pochi anni, oltre ad Emilio, conta altri cinque figlioli venuti alla luce uno dopo l’altro mandati dalla “provvidenza”. Francesco ha tanta buona volontà, ma da quelle parti e in quei tempi la gente è povera come lui, ed il mestiere di calzolaio non gli permette, come invece tanto vorrebbe, di sfamare tutte le bocche che si ritrova in casa. Decide allora di sfidare la sorte, come altri paesani hanno già fatto prima di lui, per andare dove si possa vivere un po’ meglio. Pensa di emigrare all’estero, magari in Sud America, dove ha sentito dire che si stanno costruendo nuove città e le buone occasioni non mancano per nessuno. In Argentina le cose vanno bene perché Francesco sa mettere a frutto la sua esperienza nel lavorare il pellame, materia prima che da quelle parti abbonda, tanto che anche Emilio, imparato il mestiere, dà una buona mano a suo padre per poter accontentare la numerosa clientela. Nel 1909 il ragazzo viene chiamato per il servizio militare e dopo tanto tempo ritorna volentieri in Italia a rivedere i luoghi d’origine ed a fare il suo dovere. Lo arruolano al 7° Alpini, nel battaglione “Pieve di Cadore”, ma dopo la naja, anziché tornare in America, decide di fermarsi al suo paese, ad Osigo, dove rimette in piedi la vecchia bottega di suo padre riprendendo il lavoro di calzolaio.
Da lì a pochi anni, alla vigilia della guerra contro l’Austria, Emilio Casagrande viene richiamato in servizio ed ormai ventiseienne torna al suo vecchio battaglione inquadrato nella 96ª compagnia, agli ordini del capitano Carlo Rossi. Ancor prima dell’inizio delle ostilità viene inviato col suo plotone ad occupare il tavolato del Monte Piana da dove, dopo il 24 maggio, partecipa alle azioni di pattugliamento che si svolgono a ridosso delle linee nemiche. Il 15 luglio è tra quelli inviati ad occupare il Vallon dei Castrati per dare protezione ai fanti della brigata Marche che devono operare sul pianoro Sud. Cala la notte, ma le truppe del 55° fanteria ancora non si vedono avanzare. Trascorsa la notte all’addiaccio, gli alpini si danno quindi a rafforzare le posizioni raggiunte ed a cercare d’impedire a fucilate il rifornimento viveri agli avversari. Facilitati dalla nebbia, nella notte del 18 luglio gli austriaci tentano un assalto: lanciano razzi, fanno brillare mine, sparano violentemente per mezz’ora con artiglieria, fucili e mitragliatrici, ma il loro tentativo s’infrange contro la resistenza degli alpini. Nonostante la forte pioggia tentano di nuovo la notte successiva ma con eguale inefficacia. Durante l’intera giornata del 19 le artiglierie italiane concentrano il fuoco sui trinceramenti del pianoro Nord ed alle ore 22 dalla piramide Carducci viene lanciato un razzo. Per i fanti della brigata Marche, finalmente pronti, e per gli alpini della 96ª compagnia è il segnale dell’attacco. Dopo la mezzanotte gli esploratori raggiungono i reticolati nemici e cautamente, senza farsi scorgere, riescono a collocare tubi di gelatina che squarciano qua e là i reticolati. Un gruppo di austriaci che tenta di impossessarsi di alcuni ordigni inesplosi è dilaniato dallo scoppio ritardato. Quando due compagnie del 55° e 56° fanteria si lanciano all’attacco l’alba è ormai vicina. Alla loro destra agiscono anche due plotoni della 96ª del Cadore che conquistano alla baionetta i primi trinceramenti catturando numerosi prigionieri. All’assalto si aggiungono anche 45 allievi ufficiali del 55° fanteria: 27 vengono colpiti a morte ma l’azione procede. Sono conquistate la seconda e la terza linea austriaca e gli alpini raggiungono la posizione di un pezzo da campagna. Sta delineandosi un buon successo e molti prigionieri sfilano già verso Forcella dei Castrati ma alle ore 5, d’improvviso, tutti i pezzi nemici da Plätzwiese, dalla Geierwand, da Landro e dal Rautkofel entrano in azione. I gas asfissianti ammorbano l’aria. Nonostante l’intervento delle artiglierie italiane il tiro austriaco risulta insistente e preciso. Alpini e fanti sono costretti a retrocedere di un centinaio di metri dietro i reticolati in un trinceramento di fortuna, ma anche questo è fortemente battuto e verso le 6 e mezza di mattina devono ripiegare sulle posizioni del pianoro Sud. Ad Emilo Casagrande viene concessa una medaglia di bronzo.
Alle truppe che in quei giorni si sono sacrificate sul Monte Piana giunge l’elogio del generale Montuori, comandante della 10ª Divisione: «In sei giorni di accanito combattimento per la conquista di M. Piana le truppe della brigata «Marche», della 96ª compagnia alpini e del genio, hanno spiegato le migliori doti di resistenza e di valore. Ad esse io prego di estendere il mio più vivo elogio e la piena mia riconoscenza».
Dopo essersi ben comportato in agosto sul Sexten Stein ed in Val Altenstein, verso la fine di ottobre il reparto di Emilio viene trasferito sul Monte Cristallo per dare il cambio agli alpini che lo presidiano ed una settimana più tardi, ricevuto l’ordine di abbandonare le posizioni avanzate, ripiega su Forcella Longeres in assoluto silenzio e completamente inavvertito dagli austriaci.
A fine dicembre, col resto della compagnia, anche Emilio scende ad Auronzo dove si sta formando un nuovo battaglione alpino che prende il nome del Monte Antelao. Alla 96ª si unisce la nuova leva delle compagnie 150ª e 151ª ed in tre mesi di istruzione il battaglione è reso operativo. Il 1° maggio del 1916 raggiunge l’Alta Val Costeana ed alcuni giorni più tardi è inviato in linea ai piedi delle Tofane. Emilio segue le sorti dell’Antelao a Forcella di Fontana Negra, verso il Trincerone del Masarè ed in cima alla Tofana III tra le formidabili nevicate che contraddistinguono quel rigido inverno e scampando alle numerose valanghe che mietono centinaia di vittime. Assiste poi all’esplosione delle mine che mutano la fisionomia dei roccioni del Castelletto e del Lagazuoi per passare quindi ad un altro fronte, quello dell’Isonzo.
Il 17 agosto del 1917, alla vigilia della battaglia della Bainsizza, è sotto la Selletta del Hrad Vhr ed il giorno 20 attraversa anch’egli l’Isonzo per l’attacco al Vallone di Siroka Njiva puntando poi più su verso le case di Mesnjak. Per sette giorni gli assalti si succedono ai contrattacchi, fino alla nella notte sul 27 agosto quando, finalmente, anche gli alpini dell’Antelao possono lasciare la malefica Bainsizza in mano ad altri reparti. Abbandonato quell’inferno altre bolge attendono però gli alpini della 96ª compagnia, al Monte S. Gabriele e poi in Val d’Adige al Doss Remit ed infine sul Grappa ad arrestare l’avanzata austriaca che, dopo la rotta di Caporetto, sembra incontenibile.
Il soldato Emilio Casagrande è tra quelli che, dopo aver servito per tanti mesi la Patria con onore, riportano a casa la pelle. Congedato nel 1919, il 14 febbraio dell’anno successivo sposa la ventunenne Luigia Vernier con la quale, ad Osigo, metterà al mondo quattro figli. Più avanti negli anni, oltre a mantenere il suo lavoro di calzolaio, Emilio assume anche l’incarico di sagrestano in parrocchia, badando specialmente al buon mantenimento della chiesa di Osigo e del vicino cimitero dove il 2 novembre del 1956, proprio il giorno in cui si commemorano i defunti, viene disposta anche la sua sepoltura.

img
Emilio Casagrande