La mina sull'Anticima

di Enrico Comploj

Il 20 giugno 1917, s'intensificò l'attività dell'artiglierìa italiana che già da alcuni giorni era particolarmente vivace. Nel pomeriggio, grosse bombe si abbatterono sulle posizioni e sui ricoveri. Potevamo seguire la traiettoria di queste pesanti granate sino a quando cadevano quasi a piombo, rimbalzando più volte sul terreno, dove esplodevano con gran fracasso. L'intenso fuoco diede la certezza dell'imminente scoppio della mina. Noi eravamo tutti ai nostri posti. Quella sera, anch'io mi trovavo nella postazione nr. 11, quando alle nove la terra tremò con sordi boati: guardai subito verso l'anticima e scorsi il crinale che lentamente si sollevava sprigionando fuoco e fumo, mentre blocchi di roccia rotolavano con enorme fracasso verso il pendio occidentale. Seguì poi un fuoco tambureggiante ancorpiù spieiato e violento di quello del Castelletto, ma anche la nostra artiglieria prese immediatamente a controbattere con tutti i suoi pezzi. Gli italiani che avevano occupato il cratere subirono gravi perdite, mentre da parte nostra non si ebbe alcun morto per questa esplosione, essendoci ritirati dall'anticima sul far della notte. Alle tre e mezza del mattino, una nostra pattuglia avanzò verso l'anticima e si scontrò con alcuni italiani che avevano occupato il cratere. Due di essi furono fatti prigionieri. Questa voragine, quasi invalicabile, separò d'allora in poi sull'anticima (quota 2.668) i reparti italiani da quelli austriaci. I cannoni di grosso calibro del nemico presero a battere senza posa i nostri fianchi e per un certo periodo ci impedirono, durante il giorno, qualsiasi movimento. In tutta fretta dovemmo mascherare trincee e piste, cercando di rendere con ogni mezzo possibile la vita difficile agli italiani appostati sull'anticima. Impiegammo lanciabombe e spesso le nostre pattuglie cercavano d'accostarsi carponi sin lassù per sorprenderli, ma ogni nostro sforzo risultò vano.