L'azione di Col dei Bos

di Giovanni Pennati

Questa sezione era sistemata alla nostra sinistra a poche centinaia di metri dai piccoli posti. Io comandavo il plotone di sinistra delle truppe di prima ondata (228ª cmp. -106ª cmp. - 230ª cmp.) e come tale avevo proprio alle spalle i piccoli pezzi di artiglieria. All'imbrunire ebbe inizio il nostro tiro di distruzione ed erano a decine le granate che passavano a pochi metri sopra le nostre teste, andandosi a schiantare contro le difese austriache. Questa sezione era talmente attiva che la vampata del colpo di partenza sembrava, nell'oscurità della notte, un apparato eliografico in continua funzione; la celerità del tiro tanto rapida che il rombo assomigliava a quello d'un tamburo: il colpo in partenza subito seguito dallo scoppio, tanta era la vicinanza del pezzo agli obiettivi da battere.
Gli Austriaci, sorpresi dall'insolita preparazione d'artiglieria, si misero in allarme e per conoscere la direzione dell'attacco incominciarono a lanciare razzi illuminanti in tutte le direzioni; a questi si aggiunsero ben presto i fuochi delle loro mitragliatrici e delle artiglierie collocate nelle fenditure del Grande Lagazuoi (Forcella Grande) e sui crinali dei monti Fanis e Cavallo. Cominciò a essere bersagliata la sezione di Cavalli che, oltre a essere la più esposta era anche la più vicina e la più facile a essere colpita. Le granate di piccolo e medio calibro che caddero attorno ai roventi pezzi da 65, lasciarono prevedere che quello doveva essere il primo obiettivo della difesa austriaca. Qualche colpo a shrapnels era riservato anche a noi. Malgrado la terribile tempesta di ferro e fuoco che si stava rovesciando sugli indomiti artiglieri, questi non diminuirono il loro ritmo, anzi, avendo avuto notizia che le nostre prime ondate cominciavano ad attaccare le trincee nemiche, spostarono il fuoco sulle difese più arretrate e sulle cannoniere che la gittata dei pezzi consentiva di battere. Il frastuono del combattimento, le vampate dei colpi in arrivo e in partenza, le granate che si schiantavano sulle rocce dolomitiche a noi vicine e su tutto il campo di battaglia, non mi permisero di seguire sino alla fine lo svolgersi della lotta intrapresa dai nostri prodi artiglieri contro i loro potenti avversari, ma il rimbombo dei colpi in partenza, se col tempo rallentò d'intensità, non cessò dal farsi udire fino al momento in cui il nostro attacco fu sospeso, non essendo stato possibile raggiungere gli obiettivi fissati: era quasi l'alba!
In attesa di ordini mi ero collegato col plotone dì sinistra della 106ª cmp. del "Belluno" e col suo comandante ci scambiammo le impressioni dell'attacco e del terribile duello d'artiglierie a cui avevamo assistito. Dalla linea dei piccoli posti potemmo constatare infatti gli effetti gravi del tiro avversario: attorno agli appostamenti devastazione e distruzione!