Preparativi di riscossa

di Viktor Schemfil

Gli austriaci, subito dopo l'inutile esplosione della loro mina del 14 gennaio, ripresero l'ulteriore scavo della galleria di attacco, per giungere il più rapidamente possibile al centro della posizione italiana. Lo studio del progetto di scavo e la relativa direzione tecnica furono affidati al tenente Iakobezak, un ufficiale straordinariamente abile e risoluto che, disgraziatamente, sarebbe caduto in combattimento quello stesso anno. Il cunicolo d'avanzamento era grande il minimo necessario (altezza m 1,80 e larghezza m 0,80) per poter lavorare in piedi senza risentire disturbi. I detriti di scavo venivano giornalmente trasportati all'esterno della galleria mediante sacchi, ammassati poco distante e sottratti - per quanto possibile - all'osservazione degli italiani, per essere poi utilizzati in seguito come materiale d'intasamento. Più cresceva la lunghezza dello scavo, più aumentava il numero dei portatori che dovevano trasportare i sacchi dei detriti: nelle ultime settimane di lavoro ne erano in funzione una quarantina. Una condizione essenziale per il rapido progresso del lavoro di mina era una buona ventilazione della galleria, senza la quale era impossibile ogni attività all'interno di essa. L'aria era immessa e rinnovata a mezzo di un ventilatore messo in funzione dallo stesso impianto elettropneumatico di trivellazione che funzionava in modo eccellente. Nonostante ciò, dopo ogni brillamento dei fornellini di mina, ci volevano dalle due alle tre ore per espellere i gas tossici e ottenere il completo ricambio d'aria. In questo periodo, la galleria non era transitabile senza l'uso delle maschere di sopravvivenza; inoltre, rimaneva sospeso a lungo nell'aria un fine pulviscolo di calce, che causava attacchi di silicosi agli addetti ai lavori. La lunghezza di questa galleria sino alla deviazione d'angolo era di 85 metri, da qui sino al termine della camera di scoppio altri 8 metri, per un totale di 93 metri. Sino al 7 marzo i lavori di scavo vennero eseguiti a colpi di piccone per un tratto lungo 33 metri; in seguito venne utilizzata una perforatrice elettropneumatica (Flottmannaggregat) che portò a un ulteriore avanzamento di 60 metri. Lo scavo dei 58 metri cubi, che costituivano la camera di scoppio, venne ultimato la sera del 20 maggio: la camera era situata un paio di metri più vicino alle posizioni italiane di quanto si era progettato all'inizio, per conseguire anche la distruzione della posizione da noi denominata "Strebestein".
Il presidio austriaco situato all'estremità occidentale della Cengia, era costituito da un ufficiale, sedici Jäger e un telefonista. Più tardi si aggiunse un sottufficiale di sanità e venne installata una mitragliatrice. Negli ultimi tempi, in previsione dell'imminente scontro con gli italiani, il presidio venne portato a 85 uomini. Jäger, zappatori, minatori, tutti facevano del loro meglio per la riuscita dell'impresa: il lavoro era duro ed estenuante, ma gli uomini venivano rifocillati con generi di conforto, vino in abbondanza e sigarette a volontà. Loro punto d'onore, comunque, era l'inderogabile proposito di ricacciare gli italiani giù dalla Cengia alla quale si tenevano aggrappati.
Poiché durante l'ultima parte dei lavori di scavo si dovevano tener presenti le misure di contromina opposte dagli italiani, venne costituito un ben organizzato servizio di ascolto e osservazione. Riuscimmo a circoscrivere, con discreta approssimazione, la zona ov'era situata la galleria italiana, ma non fummo in grado d'individuarne la direzione. Malgrado l'intenso fuoco nemico, diverse pattuglie scelte (Alpinepatrullekommandos) effettuarono ardite ricognizioni lungo la scoscesa muraglia del Piccolo Lagazuoi sino a giungere nelle vicinanze della Cengia nemica.
Per il brillamento della mina furono destinati 24.000 chilogrammi di esplosivo, il cui trasporto sul bordo superiore del Piccolo Lagazuoi rappresentò un'impresa di tutto rispetto a causa delle sopravvenute circostanze sfavorevoli: il disgelo aveva causato numerose valanghe che s'erano abbattute sulla teleferica Tra i Sassi-Piccolo Lagazuoi distruggendola quasi completamente, cosicché ogni singola cassa d'esplosivo dovette essere trasportata a spalle a mezzo di portatori. Durante la notte il riflettore dell'Averau illuminava la salita, ove il più piccolo movimento rimarcato degli osservatori italiani era battuto da violento fuoco d'artiglieria. Grazie agli sforzi e al sacrificio dei reparti territoriali (Landstürm e Standschützen), che fungevano da portatori con l'assistenza tecnica dell'Alpine Detachements del III btg. Kaiserjäger, il difficile trasporto di oltre un migliaio di pesanti casse di esplosivo venne effettuato in sei giorni e si concluse l'11 maggio. L'esplosivo venne sistemato in alcune caverne della prima e seconda linea della Cengia austriaca. Per cercare di trarre in inganno gli italiani, dopo aver ultimato la camera di scoppio, venne proseguito il lavoro con una perforatrice meccanica sistemata in una nicchia poco distante dal luogo ove si trovava la camera di scoppio. Per il caricamento della mina vennero usati vari tipi di esplosivo: dinamite (circa 20.000 kg), clorato (3.240 kg), ekrasite (3.240 kg), disponendoli in modo che l'esplosivo più potente venisse a trovarsi dalla parte italiana. L'ekrasite venne sistemata in forma di croce al centro della carica. Per il brillamento della mina, fu allestito un doppio impianto con accensione elettrica e miccia detonante, il tutto infilato in tubi per la conduttura dell'acqua. Per rafforzare l'effetto dirompente della mina, la gallerìa venne riempita per una lunghezza di 37 metri con materiale d'intasamento: sacchi pieni di detrìti rocciosi e tavolati in legno, per meglio sigillare eventuali aperture e sfiatatoi. La carica e l'intasamento vennero ultimati in 36 ore da circa una cinquantina di uomini.
L'istante dell'esplosione venne fissato per le ore 22 del 22 maggio, in quanto ci era noto che a quell'ora le colonne italiane per il trasporto di viveri e munizioni erano in movimento verso la "Cengia nemica" e su questa regnava il più grande movimento. La notizia del momento preciso dell'esplosione doveva risultare da una breve comunicazione telefonica convenzionale a tutte le posizioni circostanti e le batterie interessate. Il fonogramma era così concepito: "II capitano Eymuth giunge alle ore venti di questa sera, presso il comando del settore Travenanzes". Al ricevimento di questo messaggio si doveva subito confermare telefonicamente. Per il nostro presidio era stato così disposto: la guarnigione della Cengia doveva, quindici minuti prima dello scoppio, ritirarsi completamente all'imbocco della galleria a sud della Cengia. I minatori e i portatori si erano già messi al coperto, in precedenza, nelle caverne della prima e seconda linea. Il tenente Iakobezak e il capoplotone degli zappatori Boessmger dovevano raggiungere l'ingresso meridionale della galleria, per accendere - tre minuti prima del tempo fissato - la miccia detonante, il presidio del Trincerone Vonbank doveva ritirarsi più indietro, nei ripari già da tempo approntati. Nelle trincee rimanevano solo i posti di ascolto sotto il comando dell'Oberjäger Dieu. Il plotone d'assalto del battaglione, accantonato nell'accampamento, era tenuto pronto agli ordini del tenente Obkircher, presso lo sbarramento "Tra i Sassi", per un eventuale attacco. Il posto d'osservazione del capitano Eymuth e del comandante l'artiglieria era sul Sasso di Stria. Subito dopo l'esplolione, quando la pioggia delle pietre si fosse un po' attenuata, i reparti dovevano rioccupare la trincea e gli appostamenti per mitragliatrici. Speciale vigilanza doveva essere concentrata sul Trincerone Vonbank, che rappresentava il principale obiettivo degli italiani. La nostra artiglieria aveva un pezzo da 80 mm alla selletta del Sasso di Stria (Goigingerstellung), che aveva il compito di tenere sotto il fuoco la Cengia nemica, mentre i rimanenti cannoni si dovevano tener pronti a effettuare il fuoco di sbarramento dinanzi al Trincerone Vonbank. Un cannone "Ehrhardt", che si trovava piazzato sul Sasso di Stria, doveva parimenti agire contro la Cengia italiana. All'inizio del fuoco di reazione italiano, la truppa doveva rimanere al riparo: solo gli avamposti in trincea andavano presidiati. Era sottinteso che veniva prescritto e mantenuto il massimo silenzio nel momento dello scoppio e in generale sui lavori di mina.