Cartia Guglielmo
												
 Colonnello
												
												
 
												3° Bersaglieri
												
											
											
 
											
												
Nato il 2 febbraio 1865 a Ragusa
												
										    
											
											Note biografiche 
											
												Guglielmo Cartia nasce a Ragusa il 2 febbraio del 1865. Suo padre, Pietro, è un ricco proprietario 
												terriero e sua madre, Maria Carolina Manenti, è una nobildonna siciliana proveniente da Giarrentini, 
												paese non lontano da Scicli. 
												Guglielmo è il terzo di cinque figli e raggiunta l’età della ragione sceglie la carriera militare 
												entrando in Accademia. Col grado di sottotenente, nel 1896, partecipa alla battaglia di Adua ed a 
												Mai-Maret, il 25 febbraio di quell’anno, merita una Medaglia di bronzo al Valore perché:
												“Quale aiutante maggiore del battaglione recò sempre ordini ai reparti attraversando con calma e 
												sereno coraggio la zona battuta dal fuoco nemico”. 
												Allo scoppio della Grande Guerra si trova a Rodi, già col grado di maggiore, al comando del XXVI 
												Battaglione del 4° Bersaglieri. Rientrato in Italia, nel luglio del 1916 viene assegnato al comando 
												del 96° Reggimento di Fanteria sul fronte dell’Isonzo ed il 9 agosto le sue truppe effettuano con 
												successo la traversata del fiume lungo le pendici orientali del Podgora. 
												Cartia è un ufficiale attento alle esigenze dei suoi soldati ed in diverse occasioni si mette a 
												rapporto coi suoi superiori per tentare di evitare ai suoi uomini inutili rischi e mitigare le pur 
												inevitabili sofferenze della vita di trincea. “In un’azione eseguita il primo novembre – scrive 
												– il mio Reggimento contò moltissime perdite per congelamento, e i poveri e gloriosi morti rimasero 
												in piedi in mezzo alla melma che arrivava loro fino alla cintola. Quanti di questi episodi, quanti 
												eroici nostri fratelli morti così miseramente! Il nemico che avevamo alle spalle era più temibile 
												di quello di fronte, ma negli Alti Comandi non si comprendeva che così operando si avevano solo 
												inutili e scoraggianti perdite”.
 
												A Merna, sul Carso, viene ferito dallo scoppio di una granata, ma dimesso dall’ospedale, rifiuta di 
												prolungare la convalescenza ed il 16 gennaio del 1917 è in Cadore dove assumere il comando del 3° 
												Reggimento Bersaglieri. Al suo arrivo la situazione è un po’ delicata perché, per alcuni episodi di 
												ammutinamento, il Reggimento che gli è stato affidato non gode di buona fama. Chiede perciò di avere 
												mano libera e intervenendo anche di persona, motivando i reparti e sostenendo  psicologicamente i 
												più deboli, riesce ad ottenere solidarietà di gruppo, trasformando gli uomini a lui affidati in 
												risoluti e disciplinati combattenti.
												In valle Pettorina, tra mille disagi, a 20 gradi sottozero, Cartia è alla testa dei suoi per 
												contendere al nemico alcune posizioni strategiche, gloriandosi poi, giustamente, dei risultati 
												ottenuti: “Bisognava vedere quei nostri soldatini come resistevano senza un lamento, senza una 
												protesta, lottando con il freddo, con la neve, tormente, valanghe!”.
 
												Il 15 agosto del 1917 Guglielmo Cartia è nominato generale, e con un certo rammarico lascia i suoi 
												Bersaglieri per assumere il comando della Brigata Brescia che sta combattendo sull’altopiano della 
												Bainsizza. Al suo arrivo trova due Reggimenti allo sbando, privi di comandi ed esposti al tiro 
												dell’artiglieria austriaca. Per di più, dopo aver ottenuto il cambio, la maggior parte degli uomini 
												viene colpita da una devastante epidemia di dissenteria “colerina”. Ciò nonostante, dopo una 
												settimana appena, la Brigata così male in arnese viene spedita oltre Plavia a dare il cambio ai 
												fanti della «Venezia» e dell’«Aquila», anch’esse ormai allo stremo. Gli uomini di Cartia resistono 
												per 35 giorni, senza trincee e con difese precarie, fino ai giorni di Caporetto. 
												Cartia prende allora il comando di un fronte molto esteso sul monte Fortin e ancora una volta è 
												costretto a procedere per proprio conto, prendendo in mano la situazione: “Nella notte del 29 
												ottobre furono sventati diversi tentativi degli austriaci di passare l’Isonzo e strano a dirsi, 
												senza darmi alcun preavviso, furono ritirati due Reggimenti della Brigata Pesaro, cosicché rimasi 
												da solo con la Brescia a fronteggiare il nemico e a proteggere la ritirata dal lato sinistro della 
												3a Armata. La mia Brigata così rimase con i fianchi scoperti su un fronte lunghissimo. Le munizioni 
												erano quasi del tutto esaurite, e per quante richieste avessi fatto non ebbi alcuna risposta dal 
												Corpo d’Armata. La situazione era estremamente critica: completamente isolati, con il mandato di 
												non ritirarsi senza ordini superiori. Vista la pericolosa situazione, con gli austriaci che nella 
												notte avevano passato il fiume e con i miei soldati sottoposti a bombardamento e a un violento tiro 
												di mitragliatrice a tergo, senza attendere ordini e sotto la mia piena responsabilità decisi il 
												ripiegamento a scaglioni, per battaglione, verso il ponte della Delizia sul Tagliamento. Il Comando 
												del Corpo d’Armata sembrava che si fosse dimenticato del tutto della mia Brigata, che invece poté 
												miracolosamente fuggire all’accerchiamento e alla fatale cattura [...]. Malgrado il preavviso di 
												lasciare sfilare la Brigata prima di fare brillare le mine, il ponte della Delizia fu fatto saltare 
												prematuramente. Pochi riuscirono a passarlo, altri si spostarono su altri ponti, altri guadarono a 
												nuoto il fiume, e quei reparti in cui gli ufficiali abbandonarono i soldati, si sbandarono nella 
												dolorosa ritirata”.
  
												E’ un generale di grande esperienza Guglielmo Cartia,  dotato di una spiccata personalità, 
												competenze tattiche e autonomia di giudizio! È forse per queste sue apprezzabili doti che nel 
												novembre del 1917 il generale Albricci lo vuole al suo fianco per preparare il corpo di spedizione 
												italiano in Francia, destinato a sostenere gli Alleati per contenere l’offensiva tedesca. Per alcuni 
												mesi le Brigata «Brescia», «Alpi», «Napoli» e «Salerno» si addestrano sul lago di Garda, e il 18 
												aprile del 1918 il Re Vittorio Emanuele III passa in rassegna le truppe in partenza: 55.000 soldati 
												e 75.000 lavoratori militari. “La resistenza italiana salvò la situazione”. – affermerà lo 
												stesso generale Cartia – “Si fermò l’avanzata tedesca iniziata con il furioso bombardamento di 
												granate e gas asfissianti. La Bois de Courton era un vero inferno, tutto bruciava, tutto cadeva, 
												tutto era un rogo ardente. Ma i fanti d’Italia tennero fermo, e i loro petti, le loro baionette 
												arginarono l’irrompente marea nemica. Cinquemila salme di eroici combattenti attestano il valore 
												del soldato italiano. La mia gloriosa Brigata Brescia si mostrò pari alle sue gloriose tradizioni, 
												e rinnovò in terra di Francia gli eroismi del Carso e della Bainsizza”.
												Al suo ritorno in Patria, alla fine del conflitto, il generale Cartia è insignito dell’onorificenza 
												di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia.
												Ragusa, la città natale, gli dedicherà in seguito una via cittadina.
												
												
											
										
								
							
						
					
				
			
			
				
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Nato il 2 febbraio 1865 a Ragusa
Note biografiche
												Guglielmo Cartia nasce a Ragusa il 2 febbraio del 1865. Suo padre, Pietro, è un ricco proprietario 
												terriero e sua madre, Maria Carolina Manenti, è una nobildonna siciliana proveniente da Giarrentini, 
												paese non lontano da Scicli. 
												Guglielmo è il terzo di cinque figli e raggiunta l’età della ragione sceglie la carriera militare 
												entrando in Accademia. Col grado di sottotenente, nel 1896, partecipa alla battaglia di Adua ed a 
												Mai-Maret, il 25 febbraio di quell’anno, merita una Medaglia di bronzo al Valore perché:
												“Quale aiutante maggiore del battaglione recò sempre ordini ai reparti attraversando con calma e 
												sereno coraggio la zona battuta dal fuoco nemico”. 
												Allo scoppio della Grande Guerra si trova a Rodi, già col grado di maggiore, al comando del XXVI 
												Battaglione del 4° Bersaglieri. Rientrato in Italia, nel luglio del 1916 viene assegnato al comando 
												del 96° Reggimento di Fanteria sul fronte dell’Isonzo ed il 9 agosto le sue truppe effettuano con 
												successo la traversata del fiume lungo le pendici orientali del Podgora. 
												Cartia è un ufficiale attento alle esigenze dei suoi soldati ed in diverse occasioni si mette a 
												rapporto coi suoi superiori per tentare di evitare ai suoi uomini inutili rischi e mitigare le pur 
												inevitabili sofferenze della vita di trincea. “In un’azione eseguita il primo novembre – scrive 
												– il mio Reggimento contò moltissime perdite per congelamento, e i poveri e gloriosi morti rimasero 
												in piedi in mezzo alla melma che arrivava loro fino alla cintola. Quanti di questi episodi, quanti 
												eroici nostri fratelli morti così miseramente! Il nemico che avevamo alle spalle era più temibile 
												di quello di fronte, ma negli Alti Comandi non si comprendeva che così operando si avevano solo 
												inutili e scoraggianti perdite”.
 
												A Merna, sul Carso, viene ferito dallo scoppio di una granata, ma dimesso dall’ospedale, rifiuta di 
												prolungare la convalescenza ed il 16 gennaio del 1917 è in Cadore dove assumere il comando del 3° 
												Reggimento Bersaglieri. Al suo arrivo la situazione è un po’ delicata perché, per alcuni episodi di 
												ammutinamento, il Reggimento che gli è stato affidato non gode di buona fama. Chiede perciò di avere 
												mano libera e intervenendo anche di persona, motivando i reparti e sostenendo  psicologicamente i 
												più deboli, riesce ad ottenere solidarietà di gruppo, trasformando gli uomini a lui affidati in 
												risoluti e disciplinati combattenti.
												In valle Pettorina, tra mille disagi, a 20 gradi sottozero, Cartia è alla testa dei suoi per 
												contendere al nemico alcune posizioni strategiche, gloriandosi poi, giustamente, dei risultati 
												ottenuti: “Bisognava vedere quei nostri soldatini come resistevano senza un lamento, senza una 
												protesta, lottando con il freddo, con la neve, tormente, valanghe!”.
 
												Il 15 agosto del 1917 Guglielmo Cartia è nominato generale, e con un certo rammarico lascia i suoi 
												Bersaglieri per assumere il comando della Brigata Brescia che sta combattendo sull’altopiano della 
												Bainsizza. Al suo arrivo trova due Reggimenti allo sbando, privi di comandi ed esposti al tiro 
												dell’artiglieria austriaca. Per di più, dopo aver ottenuto il cambio, la maggior parte degli uomini 
												viene colpita da una devastante epidemia di dissenteria “colerina”. Ciò nonostante, dopo una 
												settimana appena, la Brigata così male in arnese viene spedita oltre Plavia a dare il cambio ai 
												fanti della «Venezia» e dell’«Aquila», anch’esse ormai allo stremo. Gli uomini di Cartia resistono 
												per 35 giorni, senza trincee e con difese precarie, fino ai giorni di Caporetto. 
												Cartia prende allora il comando di un fronte molto esteso sul monte Fortin e ancora una volta è 
												costretto a procedere per proprio conto, prendendo in mano la situazione: “Nella notte del 29 
												ottobre furono sventati diversi tentativi degli austriaci di passare l’Isonzo e strano a dirsi, 
												senza darmi alcun preavviso, furono ritirati due Reggimenti della Brigata Pesaro, cosicché rimasi 
												da solo con la Brescia a fronteggiare il nemico e a proteggere la ritirata dal lato sinistro della 
												3a Armata. La mia Brigata così rimase con i fianchi scoperti su un fronte lunghissimo. Le munizioni 
												erano quasi del tutto esaurite, e per quante richieste avessi fatto non ebbi alcuna risposta dal 
												Corpo d’Armata. La situazione era estremamente critica: completamente isolati, con il mandato di 
												non ritirarsi senza ordini superiori. Vista la pericolosa situazione, con gli austriaci che nella 
												notte avevano passato il fiume e con i miei soldati sottoposti a bombardamento e a un violento tiro 
												di mitragliatrice a tergo, senza attendere ordini e sotto la mia piena responsabilità decisi il 
												ripiegamento a scaglioni, per battaglione, verso il ponte della Delizia sul Tagliamento. Il Comando 
												del Corpo d’Armata sembrava che si fosse dimenticato del tutto della mia Brigata, che invece poté 
												miracolosamente fuggire all’accerchiamento e alla fatale cattura [...]. Malgrado il preavviso di 
												lasciare sfilare la Brigata prima di fare brillare le mine, il ponte della Delizia fu fatto saltare 
												prematuramente. Pochi riuscirono a passarlo, altri si spostarono su altri ponti, altri guadarono a 
												nuoto il fiume, e quei reparti in cui gli ufficiali abbandonarono i soldati, si sbandarono nella 
												dolorosa ritirata”.
  
												E’ un generale di grande esperienza Guglielmo Cartia,  dotato di una spiccata personalità, 
												competenze tattiche e autonomia di giudizio! È forse per queste sue apprezzabili doti che nel 
												novembre del 1917 il generale Albricci lo vuole al suo fianco per preparare il corpo di spedizione 
												italiano in Francia, destinato a sostenere gli Alleati per contenere l’offensiva tedesca. Per alcuni 
												mesi le Brigata «Brescia», «Alpi», «Napoli» e «Salerno» si addestrano sul lago di Garda, e il 18 
												aprile del 1918 il Re Vittorio Emanuele III passa in rassegna le truppe in partenza: 55.000 soldati 
												e 75.000 lavoratori militari. “La resistenza italiana salvò la situazione”. – affermerà lo 
												stesso generale Cartia – “Si fermò l’avanzata tedesca iniziata con il furioso bombardamento di 
												granate e gas asfissianti. La Bois de Courton era un vero inferno, tutto bruciava, tutto cadeva, 
												tutto era un rogo ardente. Ma i fanti d’Italia tennero fermo, e i loro petti, le loro baionette 
												arginarono l’irrompente marea nemica. Cinquemila salme di eroici combattenti attestano il valore 
												del soldato italiano. La mia gloriosa Brigata Brescia si mostrò pari alle sue gloriose tradizioni, 
												e rinnovò in terra di Francia gli eroismi del Carso e della Bainsizza”.
												Al suo ritorno in Patria, alla fine del conflitto, il generale Cartia è insignito dell’onorificenza 
												di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia.
												Ragusa, la città natale, gli dedicherà in seguito una via cittadina.