Nazione Meneghetti Nazzareno

Grado Tenente

Mostrina  55° Brigata Marche

Ritratto

Nato il 6 novembre 1884 a Follina (TV)

Morto il 18 aprile 1957 a Conegliano (TV)

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

A Follina, ai piedi delle Prealpi bellunesi, il 6 novembre del 1884 Maria Magro mette al mondo il suo terzo figlio. Tre giorni dopo è domenica e recuperate le forze, Maria sale alla chiesa dell’Abbazia per battezzare il suo bambino. Le fanno compagnia il marito Colmano Meneghetti, sua cognata che farà da madrina e Fiorenzo, l’altro figlio che ha appena compiuto tre anni. Dionigi invece, il primogenito, non c’è più: è morto che aveva solo sette anni per un attacco di difterite. Proprio in quei tragici momenti, mentre vegliava il ragazzino in fin di vita, Maria aveva fatto un voto alla Madonna: il prossimo figlio si sarebbe chiamato Nazzareno e sarebbe stato avviato al sacerdozio. In quei tempi difficili la famiglia Meneghetti può ritenersi abbastanza benestante: Colmano ha una piccola sartoria e sua moglie gestisce un negozio di alimentari al quale, più tardi, si aggiungerà anche la licenza dei monopoli di Stato.
Nazzareno frequenta le scuole elementari prendendo, a dieci anni, la maturità della quarta classe e nel 1895 va in parrocchia da don Giuseppe che gli impartisce lezioni di latino in preparazione al suo ingresso in seminario. Alla fine dell’anno supera l’esame e viene ammesso alla seconda ginnasiale. Entra in seminario a Ceneda e nel 1899 va al liceo pubblico di Treviso per sostenere l’esame di licenza ginnasiale. Nazzareno non è però convinto che la sua aspirazione sia proprio quella di farsi prete e nel 1903, finito il liceo, pur sapendo di procurare a sua madre un grosso dispiacere, lascia il seminario e si iscrive alla Facoltà di Lettere a Padova. Durante il primo anno universitario presta anche il servizio miliare e viene ammesso al corso per allievi Ufficiali di complemento presso il 14° Reggimento Fanteria nella caserma di Santa Giustina in Prato della Valle. Nel luglio del 1904, col grado di sergente, è assegnato all’80° Fanteria a Venezia dove gli viene affidato il 4° plotone della 4ª compagnia. A ottobre è a Verona preso la sede del Corpo d’Armata e dopo la nomina a ufficiale, viene mandato a Bologna aggregato alla 2ª compagnia del 40° Fanteria. Il 31 dicembre del 1905 Nazzareno smette il servizio militare e si dedica a tempo pieno agli studi universitari. Si è nel frattempo iscritto all’ateneo di Bologna dove Giovanni Pascoli, il poeta, accetta di fare da relatore per la sua tesi di laurea. Durante un breve soggiorno a Oderzo nel 1906 conosce Maria, una diciottenne di nobile famiglia della quale s’innamora a prima vista. Nel 1907, assistito dal professor Pascoli, discute la tesi che ha come argomento “Lord Byron a Venezia”, ottenendo successivamente la sua pubblicazione da parte della casa editrice veneziana di Giovanni Fabris. Appena laureato ottiene, proprio a Oderzo, una supplenza alla scuola tecnica governativa e può così continuare a frequentare la contessina di Porcìa. La gioia di quei momenti è però spezzata, nello stesso anno, dalla morte di suo padre Colmano.
Nel 1910 Nazzareno si trova a Varese dove ha accettato una nuova supplenza e qui, dopo la promozione a tenente, decide di mettersi a disposizione della Patria assumendo il comando di un plotone di volontari ciclisti che si è appena costituito. Due anni dopo, il 1° di aprile, sposa finalmente la contessina Maria di Porcìa portandola in viaggio di nozze a Venezia e tornando poi con lei a Varese. Poco tempo dopo i due sposi ritornano in Friuli, a Cividale, dove Nazzareno ha vinto una cattedra d’insegnamento. Qui nasce Silvia, la loro prima bambina, ma poco dopo la famigliola si trasferisce ancora una volta: a Udine si è reso infatti disponibile un posto fisso presso un istituto ginnasiale.
Richiamato alle armi allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel maggio 1915 Nazzareno chiude l’appartamento di Udine e porta moglie e figlia dai suoceri a Oderzo. L’ultimo giorno di maggio si presenta a Treviso al deposito del 55° Reggimento di fanteria “Marche” e l’indomani è già inviato ad Auronzo dove si trova distaccato il III Battaglione. Il tenente Meneghetti viene messo alla testa del 1° plotone della 9ª compagnia ma, dovendo sostituire il capitano Pacellini, passa poco dopo al comando della 10ª . Sul Monte Piana, avendo alle sue dipendenze altre tre compagnie del 55°, la 6ª del 56° e, dopo la ferita del Cap. Rossi, anche la 96ª degli Alpini del Pieve di Cadore, sostiene duri combattimenti che si protraggono per cinque giorni e cinque notti. Il 20 luglio va all’assalto in testa alla 2ª compagnia e, dopo aver recuperato morti e feriti, è costretto a ritirarsi attraverso il Vallone dei Castrati. Quest’azione gli frutta un encomio solenne anche se, per azioni di minor valore, ad altri vengono attribuiti onori ben maggiori. L’encomio descrive comunque il suo eroico comportamento:
Dimostrò elevato sentimento del dovere, fermezza e coraggio nel condurre all’assalto la sua e un’altra Compagnia rimasta con un solo ufficiale; protesse col fuoco il ripiegamento dei reparti vicini, raccolse i feriti e lasciò ultimo le linee di combattimento”.
Nazzareno Meneghetti può essere considerato lo storico del 55° Reggimento di fanteria e gli avvenimenti della sua guerra in Cadore, dal 24 maggio al 20 ottobre 1915, sono descritti nella monografia “Montepiana” pubblicata dalla casa editrice Alba di Milano nel 1935. Verso la fine di ottobre il 55° lascia il Cadore e viene rimpiazzato da reparti di bersaglieri e territoriali; i Fanti scendono fra Pelos e Calalzo per un breve periodo di riposo. In quei giorni Nazzareno può rivedere finalmente sua madre, la moglie e la figlioletta Silvia. Il 20 ottobre parte quindi per il fronte sull’Isonzo, fra il Sabotino e Oslavia dove, tra l’altro, riesce a scampare ad un’epidemia di colera. Durante l’offensiva autunnale contro la testa di ponte di Gorizia, mentre si svolgono i combattimenti a quota 188 di Oslavia, in Val dell’Acqua, al Lenzuolo bianco e nel Vallone della Morte, Meneghetti è impegnato nelle trincee di Podsabotino lanciandosi in continui assalti alla testa dei suoi Fanti. Col grado di capitano, il 2 dicembre assume il comando del Battaglione schierato nelle trincee ai piedi dello sperone del Sabotino dove gli austriaci hanno costruito il cosiddetto “fortino triangolare” e con la 12ª compagnia riesce a occupare il posto avanzato di Cà dell’Abete. Gli avvenimenti tra il 21 ottobre e il 15 dicembre del 1915 sono descritti da Meneghetti in un secondo libro intitolato “Un battaglione sacro”. Il 15 dicembre Nazzareno viene ferito da una scheggia di granata alla mano sinistra ed è per ciò ricoverato prima all’ospedale contumaciale di Udine e qualche giorno dopo all’ospedale “Zacchi” di Treviso. Dopo aver trascorso clandestinamente il Natale in famiglia a Oderzo, nonostante la mano non sia ancora pienamente guarita, viene inviato a Taranto per accompagnare 370 complementi che devono imbarcarsi per l’Albania dove, nel frattempo, ha preso posizione anche il suo Reggimento. A Taranto gli giunge, inaspettato, l’ordine di imbarcarsi con l’incarico di aiutante maggiore in prima al Comando del 38° Reggimento. Parte quindi col piroscafo “Molfetta” sbarcando a Valona. Inviato a Krionero, piuttosto che rimanere immerso tra le scartoffie, si fa affidare il comando di una compagnia e diventa “Il capitano della quarta”, il protagonista del suo libro intitolato “Nella terra di Eleno”. Guida la sua Compagnia alla conquista dei villaggi della Chimarra lungo una linea che supera i trenta chilometri. Si dedica inoltre alla costruzione di opere civili che gli fruttano la stima dei capifamiglia locali, riconoscimento che per Nazzareno vale ben più della medaglia al valore tante volte promessa e mai giunta. Nel settembre 1917 Meneghetti chiede di essere ammesso al corso per Ufficiali di Stato Maggiore e il giorno 20 s’imbarca per Brindisi sul piroscafo “Dandalo”. Diretto a Verona, passa per Follina dove sta per nascere la sua seconda figlia: Nerina. Durante quella breve sosta in famiglia si accorge di aver contratto la malaria complicata da paratifo ed è quindi costretto a ricoverarsi presso l’ospedale militare di Crocetta Trevigiana. Appena dopo gli avvenimenti di Caporetto viene trasferito all’ospedale di Aosta. Nonostante i gravi rischi dell’invasione austriaca, sua madre decide di rimanere a Follina mentre la moglie con le figlie si trasferiscono profughe a Mesnago di Varese assieme genitori di lei. Cessata la febbre, a metà novembre, Nazzareno ottiene una licenza di convalescenza e raggiunge moglie e figlie a Mesnago. Lì ha però una ricaduta e viene per ciò ricoverato all’ospedale militare di Bizzozero, nei pressi di Varese. Rimessosi in salute, il 31 gennaio del 1918, si presenta a Como per frequentare il corso di Stato Maggiore al quale era stato ammesso tre mesi prima. Alla fine del corso è assegnato al VI Corpo d’Armata che si trova schierato sul Grappa. Manda la famiglia in Toscana ed il 31 marzo parte per il fronte, col grado di maggiore, assegnato agli Uffici Operazioni di Ordinamento Riuniti, agli ordini del colonnello Michele Serra. Nel suo nuovo incarico è affiancato dal maggiore Mario Ceard e dal capitano Giriodi col compito di fare da collegamento tra il Comando e le linee di combattimento del Mussolente e del torrente Lastego dove si schiera, a un certo punto, anche la sua vecchia brigata Marche. Il suo pensiero però è sempre rivolto al di là della linea del Piave dove a Follina è rimasta sua madre della quale riesce ad avere solo poche notizie tramite la Croce Rossa. Sente dire che in paese c’è un gran viavai di austriaci impegnati nella costruzione di una strada di collegamento fra Trichiana e Tovena attraverso il Passo San Boldo. Nazzareno ottiene una licenza durante la quale va a trovare sua moglie e le figlie a Lastra a Signa, rientrando a San Zenone il 14 giugno, proprio quando scoppia l’offensiva austriaca. Da Villa Rovero, sede del Comando di Corpo d’Armata, viene subito spedito ad accertarsi dello stato delle linee di fronte a Col delle Farine dove, di propria iniziativa, partecipa al contrattacco ed alla conquista di posizioni avversarie. Iniziata la battaglia del Piave, il 30 ottobre giunge notizia che l’avanzata italiana è ormai giunta sulla linea Conegliano-Refrontolo-Follina. Meneghetti pensa allora di raggiungere il suo paese natale e a bordo di un sidecar, superato il Piave su una passerella improvvisata, raggiunge Follina. Trova sua madre che, nonostante tutto, sta bene e Nazzareno la rinfranca portandole viveri e generi di conforto. Da lì a pochi giorni, la battaglia di Vittorio Veneto mette fine al conflitto.
Finita la guerra Meneghetti è messo a capo della Segreteria dell’Ufficio Operazioni a San Zenone e a gennaio del 1919 raggiunge il Comando del Corpo d’Armata a Collaredo di Montalbano in Friuli. Alla fine dello stesso mese si congeda e ritorna all’insegnamento. Promuove nel contempo la costituzione dell’Associazione Combattenti della conca di Follina, una delle prime sorte in Italia, e quella di Cison di Valmarino. Si trasferisce quindi a Udine dove riprende il suo posto da insegnante alla Regia Scuola Tecnica “Pacifico Vellussi”. Ottiene il titolo di Cavaliere della Corona d’Italia dopo averlo rifiutato una prima volta per protesta contro i torti subiti dagli ufficiali di complemento nel dopoguerra. Successivamente viene promosso al grado di tenente colonnello per meriti speciali e durante il secondo conflitto supera l’esame da colonnello. Professore per più di 40 anni, Nazzareno Meneghetti diventa preside del ginnasio “Ugo Cosmo” di Vittorio Veneto e del “Berchet” di Milano. Oltre alle memorie di guerra scrive, in veste di latinista, alcuni saggi e numerose recensioni. Muore a Conegliano il 18 aprile 1957 ed è sepolto nel locale cimitero accanto a sua moglie Maria, contessa di Porcìa, morta quattro anni prima. Al suo paese, Follina, gli è dedicata una strada.