Primo attacco austriaco contro Cengia Martini

Ottobre-Novembre 1915

L'occupazione della cengia avvenne in modo pressoché inavvertito. Ricorda Schemfil: "Il posto d'osservazione austriaco (fino a quel momento non vi era stato motivo di dislocare nulla di più importante sulla parte occidentale della cengia) credette in effetti di scorgere a valle solo un attacco portato con deboli forze e non deve quindi aver prestato attenzione alla parete dell'anticima che gli alpini stavano scalando."
Il comando del III/3° Kaiserjäger segnala alla 49ª Divisione che: "dal 20 ottobre si fa sentire in misura considerevole questo annidamento di mitraglia. La 9ª cmp., posta al di sotto, ha perso una decina di uomini al giorno e cinque la 12ª, che si trova affiancata sotto il Sasso di Stria. Di giorno, ogni collegamento rimane interrotto."

Il III/3° Kaiserjäger (magg. Ullman) presidiava le posizioni del settore Valparola da q.2.571 del Settsass fino alla parete ovest del Lagazuoi su cui era allestita la FW 12 (6 jäger con un ufficiale). Il settore Lagazuoi era invece presidiato dalla 4ª/3° Kaiserjäger (cap. Pfrogner) che aveva sistemato una linea di sentinelle. Nel diario del settore di combattimento si legge: "Sulla cengia del Lagazuoi si è annidata una mitragliatrice. Un vero tormento! Essa potrebbe esservi giunta dalla Val Travenanzes. Per neutralizzarne il fuoco, dovremmo inviare dalle postazioni del Lagazuoi una pattuglia munita di bombe a mano, per colpire dall'alto l'arma nemica. A tal fine, la cima del Lagazuoi dovrebbe rimanere sempre presidiata"
La sera del 24 ottobre si tentarono due incursioni: dapprima il magg. Ullman inviò la guida Senfter e lo jäger Nocker con dieci Standschützen presso la FW 12 per tentare l'attacco con le bombe a mano, ma l'artiglieria italiana li individuò e li costrinse a tornare sui loro passi verso le 22.45.
Il giorno 26 ottobre tentarono 10 kaiserjäger, ma incapparono in un tratto di parete strapiombante che impedì loro di proseguire; lanciarono ugualmente le bombe a mano e per quella giornata la mitragliatrice non sparò, lasciando intendere che l'azione aveva avuto un qualche esito.

Nel contempo il gen. Goiginger affidò il comando del settore Valparola al cap. Kulka (Landesschützen): le sue osservazioni furono molto precise tanto da annotare con sorprendente precisione:
 - 27/10: costruzione di ricoveri per 40 persone;
 - 28/10: ricoveri per 70 persone ed inizio dei lavori di scavo;
 - 29/10: piazzamento di un obice da 52 e di uno da 100, lavori su un camminamento;
 - 30/10: individuate tre mitragliatrici e 300 uomini ai piedi della parete.

Da parte italiana, il 28 ottobre, il trentino Emilio della Brida riferisce agli ufficiali del Genio italiano che lo stanno interrogando che: "Gli austriaci sono molto impressionati dal tiro delle artiglierie appostate sotto il Lagazuoi, che hanno causato danni rilevanti [...]. Il rancio che si riceve in linea è discreto, ma da qualche tempo giunge saltuariamente, perchè i sentieri d'accesso sono sempre sotto il tiro delle mitragliatrici [...]. Il disturbo che recano queste armi è tale che pensavamo di assalire queste posizioni per impadronircene. Le perdite subite in questi giorni sono rilevanti: in particolare la 3ª Kaiserjäger, ha avuto una media di dieci morti al giorno, senza contare i feriti. Tutte queste perdite sono dovute essenzialmente all'occupazione della cengia sottostante il Lagazuoi."

Punta Berrino Baracche italiane sotto Punta Berrino (Archivio D. Morell)

Nella notte tra il 30 ed il 31 ottobre alcune pattuglie italiane scesero in Valparola e si scontrarono con un reparto austriaco che si stava preparando per un attacco, infatti non reagì alle fucilate ed alle bombe italiane. Verso le 6.20 un razzo lanciato dalla vetta del Piccolo Lagazuoi verso il Sasso di Stria segnala l'inizio dell'attacco; come prima azione si fecero rotolare sassi inframmezzati da bombe SIPE senza fermagli di sicurezza poi anche ordigni di ghisa pieni di esplosivo e barilotti contenenti 20 Kg di cartucce esplosive con le micce accese. Una batteria di 3 obici da 240 dietro il passo di Valparola aprì il fuoco con proiettili a gas. Le linee italiane vennero sconvolte (saltarono anche i 3 cannoni finti) ed all'inizio dell' attacco austriaco risultava in esercizio solo una mitragliatrice. L'artiglieria italiana non intervenne scatenando le proteste dello stesso magg. Martini. "L'arma più pericolosa per gli occupanti [gli italiani, ndr], e nello stesso tempo la più difficile da controbattere, era una mitragliatrice appostata sulla sommità del canalone di Andraz, alle nostre spalle, a meno di 150 metri dal punto centrale della cengia. Nei suoi confronti, risultò vana la reazione di alcuni fucilieri e quella d'una mitragliatrice, che fu subito crivellata da proiettili e messi fuori combattimento i suoi serventi. Più tardi (precisamente verso le ore 7.30), quando fu costretta a esporsi in parte per controbattere un nuovo bersaglio, venne quasi subito ridotta al silenzio dal fuoco incrociato del comandante di battaglione e del tenente Gino Cossu del 59° rgt. fanteria, ai quali si aggiunsero poi altri ufficiali e alpini."
Ma verso le 12 la situazione volse a favore degli italiani; la sezione mitragliatrici "La Sarda" iniziò a sparare contro gli austriaci ammassati in Valparola creando una gran confusione. Solo verso sera gli animi si placarono. I difensori della cengia contarono 5 morti e 28 feriti, che vennero affidati alle cure dei tenenti medici Tosi (228ª) e Luciani (106ª).

L'11 novembre un nuovo attacco, sempre agli ordini del cap. Kulka si concluse con un nulla di fatto. Dopo questo attacco subentrò in zona una relativa calma interrotta solo dai tiri di artiglieria e dalle mitragliatrici appostate sul Sasso di Stria.

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