Occupazione del Gradino di Cima Falzarego
27 Agosto 1916
												La situazione di Punta Berrino era ormai divenuta insostenibile per cui gli alpini decisero di 
												occupare alcune cime circostanti.
												"Duecento metri più in basso di Cima Falzarego, gli austriaci presidiavano il cosiddetto 
												"Gradino". Esso si erge a picco sul Canalone Travenanzes e sull'omonima forcella. E' formato da 
												una vasta conca rocciosa, che costituisce di per se stessa un valido punto di raccordo tattico 
												con la linea retrostante. La posizione, non solo era favorita da alcune grotte naturali utili 
												come ripari e ricoveri, ma era foggiata in maniera da non poter venire seriamente molestata 
												neppure dalla sovrastante e vicinissima Cima Falzarego da cui era separata da un profondo salto 
												di roccia. In mano agli austriaci costituiva un formidabile baluardo a protezione della Forcella 
												Travenanzes, la quale era anche un punto di transito obbligato per i reparti che dovevano rifornire 
												il trincerone, sito sulle pendici settentrionali di Cima Falzarego. Tormentava inoltre, in modo 
												accentuato e continuo, il sottostante sbarramento di Canalone Travenanzes, causando sensibili 
												perdite alle nostre colonne che rifornivano Cengia Martini e Punta Berrino."
												
												Dal 17 agosto la posizione non dava più segni di vita per cui gli italiani pensarono che 
												fosse stata evacuata ed anche alcuni ufficiali del III/45° confermarono tali impressioni.
												La mattina del 25 agosto il t. col. 
												Martini ed il ten. 
												Beretta del reparto zappatori 
												eseguirono una ricognizione.
												"Dopo una serie di osservazioni a distanza, il mattino del 25 agosto il tenente colonnello 
												Martini e il tenente Alessandro Beretta del reparto 'zappatori' eseguirono la ricognizione.
												Giunti entrambi presso il bordo meridionale del "Gradino", non udendo il benché minimo rumore 
												sulla posizione, si convinsero che non vi fosse nessuno. Tuttavia, mentre si accingevano a 
												scavalcare il reticolato, vennero accolti da una nutrita scarica di fucileria. Istintivamente 
												estrassero le pistole, loro unica difesa, e si ripararono dietro una piccola sporgenza di roccia. 
												La situazione non era delle più liete, perché il terreno aperto, per un notevole tratto, impediva 
												loro di muoversi. D'altra parte anche gli avversari, per giungere sino a loro, avrebbero dovuto 
												scavalcare il reticolato in modo troppo scoperto e rischioso. Questo pensiero e la presenza di 
												spirito che non venne mai meno li spinsero comunque ad agire. Mentre il Beretta rimaneva 
												momentaneamente fermo dietro il suo appostamento, in modo da proteggere i movimenti del tenente 
												colonnello Martini, quest'ultimo si trasferiva nel frattempo una quarantina di metri più avanti 
												al riparo di un grosso roccione. Qui s'apriva un ripido canalone, dal quale si aveva un discreto 
												dominio sul "Gradino" occupato dagli austriaci. Questo punto di osservazione aveva anche il 
												vantaggio di facilitare un eventuale ripiegamento verso la Cima Falzarego nel caso ve ne fosse 
												stato bisogno. Tuttavia quel terreno impervio e accidentato non era troppo comodo da percorrere, 
												perché bisognava muoversi rannicchiati in modo inverosimile, strisciando ventre a terra. Dal letto 
												di questo torrente, dove scorreva anche un rivolo d'acqua, si staccavano a ogni piè sospinto sassi 
												e pietre che rotolavano con fragore tanto accentuato da richiamare l'attenzione del nemico, sempre 
												più sospettoso e vigile.
												I movimenti del Martini lungo tutto il percorso furono così individuati e seguiti da un fuoco di 
												fucileria così intenso, da obbligare l'ufficiale a accelerare la sua corsa. Appena appostato dietro 
												il nuovo riparo, fece segno al Beretta di raggiungerlo seguendo il suo stesso percorso. I numerosi 
												proiettili austriaci, che all'inizio venivano sparati a casaccio, a poco a poco cominciavano ad 
												arrivare con allarmante precisione.
												A dispetto di ciò, i due ufficiali ebbero modo di osservare il terreno antistante e poterono 
												individuare le vie di più facile accesso. Si formarono altresì la convinzione che il "Gradino" 
												fosse soltanto un avamposto, difeso da una quindicina di uomini armati di fucile. Esaurito il loro 
												compito, ridiscesero il canalone, utilizzando come fune di sicurezza un tratto di filo spinato 
												abbandonato poco distante dagli austriaci. Il passaggio attrezzato in quel modo fu provvidenziale, 
												ma non certo agevole per le mani che dovevano aggrapparvisi. I due ufficiali si ritrovarono alla 
												fine nuovamente riuniti e al sicuro dietro il primo risvolto del canalone principale, con le mani 
												sanguinanti, madidi di sudore, trafelati e con gli abiti infangati, strappati e inzuppati d'acqua; 
												erano tuttavia illesi e avevano potuto compiere una proficua ricognizione."
												
													Schema delle teleferiche sul Lagazuoi (Archivio Mauro Zattera)
											    La notte sul 27 luglio tre pattuglie della 228ª (ten. Forchino, Bolaffio e Beretta) piombarono da itinerari diversi nella posizione austriaca che venne abbandonata dal presidio: come conseguenza gli austriaci dovettero abbandonare anche le pendici settentrionali di Cima Falzarego e Forcella Travenanzes.
L'1 settembre gli alpini della 229ª raggiunsero una grotta ad est di Punta Berrino e si arrampicarono sulla Punta della Fede. Gli austriaci per rappresaglia bombardarono per parecchi giorni il Gradino, causando però lievi danni e scarse perdite.
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