Nazione Coletti Celso

Grado Capitano

Mostrina  Volontari del Cadore

Ritratto

Nato il 18 dicembre 1872 a Pieve di Cadore (BL)

Morto nel giugno del 1937

Decorazioni

Decorazione Medaglia d'Argento

Incaricato di sorvegliare e difendere altissimi e pericolosissimi passi alpini della Conca Cadorina, benché sofferente per precedenti continuati disagi, si recava personalmente nelle località più difficili e più battute dal fuoco nemico per intensificare la vigilanza, riuscendo così a fronteggiare in tempo le pattuglie nemiche ed a sventare i tentativi di piombare sui nostri reparti, che poterono iniziare e continuare il ripiegamento in ordine perfetto e con minime perdite.
Pieve di Cadore, 28 ottobre – 8 novembre 1917

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Prima della guerra

Isidoro Agostino Luigi Massimo Attilio (detto Celso) Coletti nasce a Pieve di Cadore il 18 dicembre 1872. Suo padre il cav. Massimo Coletti (morirà nel 1889) è stato un patriota cadorino e quando presenta il figlio all’anagrafe, si dichiara “negoziante”. La madre, Catterina Vallenzasca, appartiene ad un’aristocratica famiglia di Pieve di Cadore è sorella di Luigia, madre dei fratelli Giuseppe e Giovanni De Pluri. Con solerzia si dedica al governo della casa facendosi però assistere nelle faccende domestiche da alcune cameriere e qualche governante che bada ai figlioli: Augusto (-Isidoro, ottobre 1855), Edoardo (-Enrico, ottobre 1856), Chiara (-Teresa, giugno 1858), Maria (-Teresa, agosto 1864, morta nel 1899), Tulio (-Giovanni, gennaio 1868) ed adesso anche al piccolo Celso. Oltre che della casa di Pieve, la famiglia è proprietaria di una bella villa settecentesca (Villa Maria dopo Caporetto diverrà ospedale militare della CRI) a Ponzano, a nord di Treviso, dove la famiglia si reca per qualche periodo a svernare quando il freddo, in montagna, si fa più intenso.
Dopo aver frequentato le scuole, prima a Pieve di Cadore e quindi a Belluno, a 20 anni, nel 1892, Celso si iscrive alla facoltà di Scienze Fisiche e Matematiche all’Università di Bologna, cambiando poi corso di studi per entrare alla facoltà di Giurisprudenza. Laureatosi, presta il servizio militare di leva ottenendo il grado di sergente ed il 12 luglio del 1900 sposa la ventunenne genovese Fernanda Vassallo. In previsione dell’entrata in guerra contro l’Austria, Celso Coletti frequenta quindi, come volontario, il corso allievi ufficiali uscendone con i gradi da sottotenente. Suo fratello Edoardo nel 1893 aveva fondato la Federazione dei Pompieri Volontari Cadorini e nel 1912 era stato chiamato, stanti le sue precedenti esperienze, ad organizzare la milizia volontaria alpina del Cadore; ora, nell’imminenza della guerra, la milizia è stata convertita in un vero e proprio reparto combattente. Il 14 aprile, nella sala della Magnifica Comunità, Edoardo Coletti è proclamato comandante dei Volontari Alpini del Cadore e con l’aiuto del comitato organizzatore favorisce l’apertura di dodici campi di tiro a segno. Col coinvolgimento del capitano Olivo Sala viene inoltre preparato uno studio per l’impiego dei volontari che, come previsto, dovranno occupare le posizioni di confine.

La Grande Guerra

La mattina del 30 maggio del 1915 il maggiore Edoardo Coletti parla a 325 candidati volontari per renderli consapevoli degli impegni che li attendono. Li invita, in particolare, a riflettere bene sul valore della firma che dovranno porre sul documento che li obbligherà per tutta la durata della guerra al rigoroso rispetto delle regole militari. Il giorno successivo a sottoscrivere l’impegno si presentano solo 115 elementi ed il reparto, concepito inizialmente della forza di un battaglione, viene ridotto ai ranghi di una compagnia. Equipaggiati come gli altri alpini, i volontari si distinguevano per il fregio sul cappello con l’aquila vista di fronte anziché di profilo, sormontata da una stella e dalle lettere V ed A intrecciate. Al posto del numero del reggimento, il petto dell’aquila portava lo scudo sabaudo.
Fresco di nomina a capitano, Celso Coletti si mette alla testa del reparto coadiuvando il fratello troppo in là con gli anni per poter sostenere il comando operativo. Ad Edoardo Coletti viene invece attribuita la carica di Ispettore. Si formano quindi tre plotoni che vengono affidati rispettivamente ai sottotenenti Giuseppe Colle, Arduino Polla e Alberto Tabacchi. Dopo pochi giorni di istruzione, salutata sua moglie Fernanda, Celso conduce i volontari a Cima Sappada, quindi al Passo dei Cacciatori nell’Alta Val Sesis. Grande camminatore, seppure un po’ impedito ad un ginocchio per una precedente caduta da cavallo, il capitano non si sottrae dal partecipare in prima persona ad azioni di pattuglia e perlustrazione. Anche i più giovani devono faticare per tener dietro al suo passo e bonariamente, anche se con una certa sfrontatezza, i volontari si divertono a canticchiare: “Capitano è quella cosa che ha un ginocchio fracassato; tutti dicono peccato che gli resti l’altro san”.
Sempre sereno, sempre alla testa dei suoi uomini, li guida alla difesa di un tratto di fronte, assai esteso, tra il Monte Rinaldo in Val Visdende e lo Scheibenkofel (Monte Lastroni, tra Cima Sappada e le sorgenti del Piave). Ottenuta una decina di paia di sci, nel mese di novembre forma anche una squadra di schiatori che si rivelerà particolarmente utile durante il successivo inverno che sarà caratterizzato da temperature rigidissime ed un abbondante manto nevoso. Oltre che delle faccende di guerra, dei “normali” disagi dei suoi volontari, delle insidie del tempo e delle valanghe, il capitano Coletti deve darsi pensiero anche delle stravaganze di alcuni ufficiali superiori che gli impongono ordini a dir poco originali, come quello di costruire un rullo compressore per compattare la neve nell’intento di facilitare il passaggio delle salmerie. Lui non bada di certo a quelle “amenità” che stanno piuttosto ad avvalorare l’incompetenza di certi Signori Ufficiali di Carriera ed a confermare la scarsa stima e la poca fiducia che questi dimostrano nei confronti dei volontari.

Ritratto del cap. Coletti Disegno/Ritratto del capitano Celso Coletti

Nel marzo del 1916 Coletti interviene personalmente dirigendo una squadra dei suoi per evacuare la borgata di Cima Sappada colpita dal fuoco dell’artiglieria, trasportando fuori paese gli esplosivi che vi erano depositati ed estinguendo i principi d’incendio. La popolazione ringrazia calorosamente gli alpini; i Comandi Militari invece, pur informati dell’accaduto, non ritengono opportuno “sprecare” elogi ...
Successivamente l’attenzione dei volontari si sposta più a nord, in Val di Londo, contrapponendosi alle posizioni di Cima Mezzana e Cima Manzon e poi ad ovest, verso la Croda Negra.
Il 17 luglio la compagnia dei Volontari del Cadore si trasferisce al Passo Tre Croci alle dipendenze del maggiore Alberto Neri del battaglione Val Piave. Dieci giorni più tardi il capitano Coletti, accompagna il suo nuovo comandante sullo Zurlon per studiare l'azione che nella notte del 29, con un improvviso e rapidissimo assalto da parte degli uomini guidati dal tenente Arduino Polla, porterà alla presa dei Salti del Forame e del Costone di nord-ovest. Gli austriaci riconquisteranno successivamente quelle posizioni, ma il 3 settembre i volontari di Coletti, ripetendo l'attacco, riusciranno ad insediarsi nuovamente sulla la Punta del Forame. Durante l'azione viene annientata un'intera compagnia nemica e vengono catturati una ventina prigionieri.
Rientrati lungo la valle del Felizon, i volontari tornano quindi in zona Popera per dare il cambio al Plotone Scalatori nel presidio della Forcella U, una sella fra i Torrioni e la Croda Rossa, e sulla Forcella D, sotto la Torre Trento. Partecipano poi a varie opere di rafforzamento resistendo ai rigori invernali, alle tormente di neve ed alle valanghe. Trascorrono così anche i mesi primaverili durante i quali devono purtroppo contare numerosi feriti, alcuni per il tiro dei cecchini, altri a causa del congelamento, altri ancora per malaugurati incidenti che capitano durante il difficile trasporto delle funi per la costruzione di una teleferica a motore che dalle Cavernette, con una campata di 750 metri, raggiunge Forcella 15.
Il 18 settembre del 1917 il capitano Celso Coletti viene nominato Cavaliere Ufficiale della Corona d’Italia per speciali benemerenze militari. Verso la fine di ottobre giunge anche ai Volontari del Cadore la triste notizia che le posizioni conquistate con tanto sacrificio devono essere abbandonate perché a Caporetto il fronte ha ceduto. Il 4 novembre Coletti scrive nel suo diario: «Alle ore 18 faccio iniziare l’abbandono delle posizioni; i Volontari Alpini, quando ricevono ordine di rifornirsi di viveri di riserva, cartucce, ecc., credettero fosse per l’attacco di Croda Rossa, poveri ragazzi così pieni di entusiasmo! Alle ore 23 lascio coll’ultimo scaglione formato dai Volontari Alpini il Crestone Popera. E così, dopo un anno di patimenti, dopo tanto lavoro, quando la Regione era completamente sistemata con circa 2 Km di gallerie sicure e comode, con tutti i posti serviti da teleferiche, quando ci si presentava davanti un inverno tanto diverso da quello tremendo passato, con tanti viveri e legna accumulati con tanta fatica, dobbiamo partire ed abbandonare il nostro Cadore all’austriaco, e perché?» In quei penosi giorni, per il suo prezioso contributo, a Celso Coletti viene attribuita una Medaglia d’Argento al Valor Militare. Dopo aver fatto il proprio dovere nel frenare l’avanzata nemica, i Volontari riescono a sfuggire alla trappola di Longarone tesa dal tenente Rommel e per Bribano, Pez, Feltre e Cismon, il 13 novembre raggiungono Bassano. Si trasferiscono quindi a Montebelluna e poi a Caselle d’Altivole dove viene formata una compagnia mista di volontari e fuggiaschi di altri reparti.
Agli ordini del colonnello Abele Piva, Coletti risale coi suoi uomini le pendici del Grappa aggregandosi ai difensori tra il Col Medata e il Col dell’Orso dove dice: “... si vive in buche che ognuno si scava da sé per proteggersi dalle granate che piovono fitte”. Verso la fine di dicembre i Volontari scendono a Paderno dove trascorrono un triste Natale, accampati nei pressi di una palude, con la neve che appesantisce i teli delle tende, con non pochi malati di cui prendersi cura. A San Zenone, l’8 gennaio del 1918, giunge l’ordine di riunire i volontari cadorini con quel che resta dei volontari feltrini, a formare un unico “Reparto Volontari Alpini Feltre-Cadore”. Così ricostituiti gli alpini tornano sul Grappa e quindi, nel mese di giugno, vengono trasferiti in Valtellina al Passo Verva e poi, col battaglione «Val d’Orco», alle Pale Rosse e alla Königspitze (Gran Zebrù, a Sud del Passo dello Stelvio).
Verso la fine di ottobre, giunta la notizia dell’offensiva sul Piave, Coletti insiste per essere trasferito coi suoi uomini fra le truppe destinate alla liberazione del Cadore ma, purtroppo, il permesso gli sarà accordato solo ad operazioni già ultimate.

Il dopoguerra

Anche in tempo di pace Coletti continua ad impegnarsi per mantenere uniti gli ex combattenti e nel 1919 è tra gli animatori per la fondazione dell’Associazione Nazionale Alpini. Gli impegni civili lo vedono, tra il 1923 ed il 1930, quale direttore generale dell’Ente di Bonifica Integrale. Risiedendo in quel periodo a Roma, assume la presidenza della locale Sezione ANA, e nel 1928 è nominato Alfiere Ufficiale del neo costituito 10° Reggimento Alpini. In tale veste, in occasione dell’adunata di Trieste, prende in consegna il nuovo Labaro dell’Associazione. Nel frattempo rimette in ordine i suoi appunti di guerra che consegnerà in seguito ad Antonio Berti perché provveda alla loro pubblicazione, intitolandoli ai “ Volontari Alpini del Cadore a difesa delle loro crode”.
Nel 1931, rientrato in terra veneta, Coletti assume la presidenza del 7° Reggimento (la sezione degli ex alpini del Veneto) col quale partecipa al raduno nazionale di Genova. Negli anni successivi apre col Labaro le sfilate di Napoli, Bologna e quella di Roma, l’ultima a cui può partecipare. Nel giugno del 1937 il giornale “L’Alpino” annuncia infatti la sua morte: «Celso Coletti ci ha lasciato per sempre. Volontario nella Grande Guerra, fondatore e capo di quel manipolo di volontari alpini cadorini che si copersero di gloria [...] medaglia d’argento al v.m. fu figlio degnissimo del suo Cadore che egli tanto amava. Animatore del 10° Reggimento, Consigliere nazionale da un decennio, recava fra di noi un senso sano e sereno di vita e di bontà. Fermo e dritto di carattere, ineccepibile nella vita privata e pubblica, [...] coprì importanti cariche politiche ed amministrative, fu sempre a tutti d’esempio. Il suo ricordo vivrà eterno fra noi».
A Pieve di Cadore, l’8 settembre le spoglie del capitano Celso Coletti vengono traslate dalla tomba della famiglia De Faveri, dov’erano state provvisoriamente collocate, alla nuova tomba della sua famiglia, e nella chiesetta di San Francesco d’Orsina, alle porte di Calalzo, viene scoperta una lapide dove si legge: «In questa chiesetta alpestre - fra i monti che tanto amò – vive perenne il ricordo – di Celso Coletti – cadorino – capitano dei volontari alpini – “Feltre e Cadore” – conquistatore delle cime più aspre – eroico soldato della guerra – devoto milite della rivoluzione – tenace nel lavoro – ineguagliabile nell’umana bontà – il 10° Reggimento Alpini – che lo ebbe fra i suoi – più amati reggitori – qui ne vuole ricordato in eterno il nome e l’esempio» Oltre alla moglie Fernanda, ad accompagnare il capitano Coletti nel suo ultimo viaggio vi sono gli amici Arduino Polla, medaglia d’oro al Valor Militare, Edgardo Rossaro che l’aveva ritratto in un quadro ad olio poi donato alla Magnifica Comunità del Cadore, il sergente Cornelio Frescura, Giovanni Dall’Asta e numerosi altri Volontari che con lui avevano solidariamente condiviso 47 intensi mesi della loro vita a difesa delle crode del Cadore.

Chiesa La chiesetta di San Francesco d’Orsina a Calalzo