Nazione Fortini Michele

Grado Sottotenente

Mostrina  7° Alpini, battaglione Monte Antelao

Ritratto

Nato il 7 ottobre 1896 a Isernia (IS)

Morto per fuoco amico il 30 luglio 1916 presso il Sasso Misterioso

Decorazioni

Decorazione Medaglia d'Argento

In un combattimento, pur essendo senza comando, accorse dove più furiosa si svolgeva la lotta, e trascinando con l'esempio ed entusiastiche parole i soldati, superò con essi fortissime difese accessorie nemiche, accerchiò una grotta occupata da avversari e solo, con la pistola in pugno, si presentò all'ingresso, intimando la loro resa. In un successivo combattimento, si spinse in rincalzo di un altro plotone ch'era rimasto senza ufficiale ed affrontò violentemente un reparto nemico fortemente trincerato, mettendolo in fuga.
Castelletto Val Travenanzes, 30 luglio 1916

Note biografiche (Archivio Franco Licini)

Prima della Guerra

Michele Fortini, figlio di Vincenzo, nasce a Isernia il 7 ottobre 1896. Compie gli studi presso il Regio Ginnasio della sua città diplomandosi con ottimi voti nel 1913. Si iscrive quindi al Liceo di Urbino ed è ancora studente quando, allo scoppio della prima Guerra Mondiale, decide di arruolarsi volontario. Dopo un breve corso ufficiali viene assegnato al 7° Reggimento Alpini col grado di sottotenente e nell'ottobre del 1915, passando prima dal Comando Deposito di Belluno, raggiunge in treno Calalzo stabilendosi provvisoriamente a Tai di Cadore in attesa di riunirsi al suo Battaglione.

La Grande Guerra

Il 2 novembre ha ancora il tempo di scrive una lettera a casa per annunciare la sua prossima partenza per il fronte: "Carissimo babbo, domani parto per il fronte. Colà vado a compiere tranquillamente e serenamente il mio dovere. Non dite nulla alla mamma della mia partenza, datele ad intendere ch'io sia sempre qui a Tai, al sicuro, lontano da qualsiasi pericolo. Non vi dimenticate mai di me che vi penso sempre. Scrivetemi spesso. Quando sarò lassù vi manderò il mio indirizzo preciso. State tranquilli e confidate in Dio. Salutatemi amici e parenti ed a voi tutti baci ardentissimi dal vostro, Michele."
Fortini è destinato al Battaglione Pieve di Cadore e precisamente alla 96ª Compagnia comandata dal capitano Carlo Rossi, un ufficiale di grande esperienza che, durante il conflitto libico del 1912, era stato aiutante di campo in seconda del generale Antonio Cantore. Fin dal suo primo giorno al fronte, Michele si vede catapultato nella dura realtà della guerra: gli alpini della sua compagnia sono appena rientrati dalle posizioni situate tra il Monte Cristallo e lo Schönleitenschneide dove si sono alternati a quelli della 67ª e 75ª; in quei giorni il Battaglione ha perduto ben 279 uomini. Fortini viene messo subito alla testa di un plotone con il compito di pattugliare le posizioni tra Forcella Longeres, il Monte Cengia e il Bacher Bach (Rio Pusteria).
Alla fine del 1915 il "Pieve di Cadore" cede la 96ª Compagnia al Battaglione "Monte Antelao", un'unità appena costituita per decisione dello Stato Maggiore. Le nuove Compagnie dell'"Antelao" - la 150ª e la 151ª, aggiuntesi alla 96ª - sono composte per la maggior parte da giovani reclute che necessitano di un periodo di intenso addestramento. I "veci" si fondono con i "bocia" appena arrivati e i tre mesi di istruzione che si svolgono prima ad Auronzo e quindi a Campo di Sotto - nei pressi di Cortina - danno buoni frutti. Già nella giornata del 14 aprile il generale Segato, Comandante del I Corpo d'Armata, convoca il capitano Rossi perché si prepari con i suoi ad attaccare le forti posizioni nemiche di Croda dell'Ancona ma l'azione, che si doveva svolgere il giorno di Pasqua, viene poi sospesa. Comunque, in preparazione di quell'attacco, Fortini ha già dato prova di perizia e buone doti di comando impegnandosi in rischiose ricognizioni esplorative a ridosso delle posizioni presidiate dal nemico.
Verso la fine del mese l'"Antelao" viene destinato, in Val Costeana, al V Gruppo Alpini. Al loro arrivo gli uomini vengono impiegati in lavori di rafforzamento delle posizioni tra Pocol ed il Passo Falzarego; su di loro incombono le Tofane, cime dolomitiche dove sono insediati i kaiserjäger; a valle gli alpini e i fanti tentano, con sanguinosi e reiterati assalti, di rompere la linea austriaca penetrando dalla Valparola e dalla Val Travenanzes nell'intento di raggiungere la Val Pusteria. In quell'ampio scenario di guerra, il 26 aprile del 1916 gli alpini dell'"Antelao" prendono posizione, con la 150ª Compagnia, sulla Tofana di Mezzo a quota 3.237, mentre gli altri reparti si schierano tra la Forcella di Fontana Negra e la Tofana di Rozes. Il 16 maggio riescono addirittura a collocare un grosso riflettore su un alto sperone di roccia (Punta Giovannina) ed a piazzare un mortaio in posizione strategica (sotto Punta Marietta). Si tratta di azioni che preludono all'attacco principale che si dovrà svolgere, da lì a poco, contro la linea austriaca del Masarè, il "macereto" che sale verso Fontana Negra. Da quelle parti, qualche mese prima (precisamente alle sette di sera del 20 luglio), il generale Antonio Cantore era stato colpito in fronte da una palla di fucile mentre, ritto i piedi e allo scoperto, stava osservando col binocolo un avamposto nemico. In preparazione dell'attacco al Masarè, il 17 giugno il sottotenente Fortini è impegnato col suo plotone nell'occupazione del cosiddetto "vecchio osservatorio austriaco", un punto strategico posto sul costone della Tofana di Rozes. Quei roccioni sono fortemente presidiati dai kaiserjäger che occupano anche altre posizioni dominanti sulla Tofana III: la Nemesis e un posto avanzato a quota 2.905. In piena notte, l'8 luglio, fra quelle rocce echeggiano le note di una fanfara[1], ma appena finisce la melodia, le artiglierie alpine danno inizio ad una "musica" ben diversa, l'ouverture dell'attacco al Masarè. Il tenente Venier, con il terzo plotone della 96ª, si porta verso il canalone della Nemesis sul lato settentrionale, mentre il sottotenente Borella con i suoi uomini si spinge sul lato sud. Gli austriaci oppongono una strenua resistenza ma i reparti alpini li aggirano e sul far del mattino la lotta si conclude in un cruento corpo a corpo. I kaiserjäger si disperdono, ma alcuni nuclei riescono ad occupare una caverna che si trova nei pressi di un macigno roccioso che, per la sua forma, è stato battezzato il Sasso Cubico. Durante l'azione muoiono 24 alpini e i sottotenenti Canciani e Burlot; altri 70 uomini rimangono feriti. Nel corso dell'attacco Fortini si trovava affiancato al capitano Rossi che dirigeva l'azione. Sarà lo stesso comandante, qualche mese più tardi -in una lettera scritta al padre di Michele - a ricordare quegli avvenimenti: "[...] Il mattino del nove luglio, all'una e trenta, la mia compagnia attaccò la posizione nemica, ma con violenza inaspettata il nemico si difese strenuamente, ma accerchiato fu costretto alla resa. Suo figlio quel giorno non aveva comando di truppa, era al mio seguito. Quando i primi miei alpini erano alle spalle della posizione, attaccai di fronte il nemico[2]. Suo figlio, nel momento più difficile, mi lasciò e seguito dai suoi alpini, si presentò sulla porta di una grotta dove, intorno ad un capitano dei kaiserjager, un gruppo di nemici, con una mitragliatrice si difendeva ancora strenuamente. Con la pistola in pugno, solo, intimò la resa. Poco dopo mi presentò il capitano ed il gruppo di austriaci presi prigionieri. La fortissima posizione nemica fu nostra; prendemmo prigionieri in quel giorno 8 ufficiali e 190 uomini di truppa con 3 mitragliatrici e 2 lanciabombe [...]".
Per questa azione e per quella che, con tragico epilogo, si svilupperà il 30 luglio, a Michele Fortini sarà attribuita la Medaglia d'Argento al Valor Militare[3].

La morte per "fuoco amico"

Nella notte del 29 luglio 1916 ha inizio un'azione diretta ad assicurare il libero accesso alla Val Travenanzes, la gola sul retro delle Tofane che da Col dei Bos scende fino a nord di Cortina. Quindici giorni prima, facendo esplodere sotto le posizioni nemiche una mina di 35 tonnellate di gelatina, gli alpini avevano conquistato il Castelletto e l'azione verso la Val Travenanzes costituisce ora il coronamento di tutti i loro sforzi ed il risarcimento per tutte le vite sacrificate. Verso forcella Col dei Bos alcuni caposaldi sono ancora presidiati dagli austriaci e uno di questi, in special modo, si è sempre dimostrato particolarmente difficile da conquistare. Si tratta di una grande roccia che affiora dai ghiaioni ai piedi del Castelletto, spaccata da cima a fondo da una larga fenditura che la divide in due parti. Gli alpini l'hanno chiamata "il Sasso Misterioso" perché le pattuglie che si sono azzardate ad assalirlo sono tutte misteriosamente scomparse. Più tardi si saprà che, tra quegli anfratti, chi veniva catturato era fatto confluire nelle retrovie lungo itinerari ben nascosti agli occhi degli italiani. L'impresa ideata per avanzare in Val Travenanzes è affidata al V Gruppo Alpini ma, non smentendo se stesso, il colonnello Tarditi che comanda l'azione, non intende partecipare di persona all'attacco e, impartita qualche generica indicazione, lascia liberi d'agire sul campo i suoi ufficiali; né tantomeno Tarditi ha pensato di coordinare l'azione e organizzare un qualche sistema di collegamento: questa delicata mansione viene affidata ai soli portaordini che sono costretti ad agire, per lo più di notte, in un intrico di rocce, trincee, ghiaioni e anfratti per la maggior parte poco conosciuti. In particolare, l'attacco al "Sasso Misterioso" è affidato alla 96ª compagnia e verso l'imbrunire di quel sabato, gli alpini si radunano in prossimità dell'ingresso della galleria che, dopo l'esplosione della mina, viene ora utilizzata per accedere alla sommità del Castelletto. Il capitano Rossi parla agli alpini dicendo che ha una gran voglia di metter piede tra quelle rocce per ribattezzarle col nome di "Sasso della Vittoria", ma anch'egli è poco preciso nello spiegare i compiti di ciascuno e troppo vago sulla tattica da adottare. Quando il suo discorso finisce, gli alpini non sono del tutto persuasi; il loro sesto senso li porta a pensare che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Alle dieci di sera gli uomini iniziano la salita lungo la galleria che, stretta com'è, li costringe a passare uno alla volta. Sbucano in fine sul bordo del cratere, ma l'operazione è durata più del previsto. Finalmente, verso mezzanotte, ha inizio la discesa lungo il canalone: bisogna camminare al buio, con prudenza, senza smuovere i sassi, e anche la calata dal Castelletto in tal modo risulta molto lenta. In testa procede il terzo plotone del sottotenente Brandimarte che ha il compito di attaccare il piccolo posto nemico che ancora sbarra la strada; seguono gli altri, tutti decisi a far presto prima che i kaiserjäger possano dare l'allarme e far intervenire l'artiglieria. Giunta a un buon terzo del canalone, la colonna viene improvvisamente illuminata da un razzo e fatta segno delle scariche di fucileria. Non c'é più motivo di mantenere il silenzio e tutti si buttano verso il fondo del canalone gridando "Savoia!" La pattuglia austriaca si ritira precipitosamente, ma un'ultima fucilata colpisce a morte il sottotenente Brandimarte. La 96ª Compagnia si dispone comunque in ordine di combattimento: il primo e il secondo plotone, comandati dal sottotenente Verzegnassi, piegano a destra, il terzo e il quarto, agli ordini di Fortini si dirigono a sinistra per attaccare alle spalle la linea di difesa austriaca. Agli ordini di Fortini ci sono anche gli uomini di Brandimarte con il compito, innanzi tutto, di conquistare le posizioni del Sasso Misterioso. Gli alpini respingono alcune pattuglie che si danno precipitosamente alla fuga e inaspettatamente, nei pressi del Sasso, non incontrano alcuna resistenza. I due plotoni si appostano a una certa distanza dall'obiettivo, non ancora certi che quello sia stato del tutto sgomberato dagli austriaci. Fortini sa che altri alpini, quelli della 77ª e della 79ª compagnia, si stanno ricongiungendo col resto delle forze a Col dei Bos, ma causa l'imprevisto ritardo accumulato durante la salita nella galleria e la discesa per i ghiaioni non ha l'esatta cognizione né dell'ora né della direzione dalla quale dovrebbero arrivare le compagnie del "Belluno". Tiziano Aristide Marchiori di Vigo di Cadore è l'attendente di Fortini; la sua testimonianza descrive il succedersi degli eventi: "Noi scendemmo alla Forcella Bos per pigliare il nemico di sorpresa alle spalle, perché di fronte venivano avanti quelli del Belluno e dovevamo incontrarci sulla forcella. La nostra parola d'ordine era: "Nizza-Savoia". Quando fummo vicino al Sasso cominciammo a vedere nella notte delle ombre che si muovevano, ma non sparammo per paura che fossero i nostri del Belluno. Al nostro 'chi-va-là' risposero: 'Trento, Trento, Tommaso' e noi allora cominciammo a sparare a qualunque ombra si potesse vedere. Fu così che io spostandomi, sparai quasi a bruciapelo e nello stesso tempo anche l'ombra che avevamo di fronte sparò e colpì il tenente Fortini alla testa, io allora la colpii al petto. Dopo qualche tempo sentimmo delle parole in italiano, così capimmo che ci sparavamo tra noi. Fu allora, dato che cominciava a far giorno, che vedemmo il nostro tenente morto ed il sergente maggiore De Biasio del Belluno pure morto poco lontano"[4].
Gli stessi fatti sono inoltre riportati nel Diario di Guerra del sottotenente Celso Trevisan della 77ª compagnia del "Belluno": "30 luglio ore 2,30 .... ma ecco: si arriva davanti al 'Sasso' che, a causa della sua incomprensibile tremenda azione di difesa e offesa, venne detto 'Misterioso'. E' una gran massa di pietra alta come una casa ed è lì a qualche decina di metri da noi, e non si vedono più razzi nemici. Prima di arrivarci c'é un reticolato, smosso di certo dagli Alpini della 79ª compagnia, e poi un altro rialzo, in modo che si può sottopassarlo. Poi giungo finalmente ad appoggiarmi alla parete di quel maledetto fortilizio nemico, che ora è nostro. Poco dopo, col Sergente Ferri e gli alpini miei, procedo girando in salita a destra del Sasso, raggiungendo alcuni uomini del tenente Ventani con le mitragliatrici ancora in spalla; poi distinguo forme di uomini fra i sassi sconvolti, e il resto di due baracchette nemiche contro il Sasso. Sono Alpini dell'Antelao, e avanzo con i miei per trovare quelli del capitano Brida, che pare sia più oltre. Incontro un'ombra che chiede se c'é un ufficiale, perché un Sottotenente è morto! ... Non bado a ciò per non perdere tempo, ma ecco, lì vicino c'é un ferito che si lamenta: è il Sergente Di Biasio che per fatale inganno alla "parola d'ordine", ha ucciso il sottotenente Fortini dell'Antelao, ma che venne a sua volta colpito dall'attendente di questi! ... Orribile cosa, ma in quel momento non mi fa grande impressione...!"[5]
Nessuno poteva immaginare che il caposaldo del Sasso Misterioso, così a lungo e caparbiamente difeso, fosse stato abbandonato di proposito dagli austriaci! Quanto poi accadde è imputabile al buio notturno e all'assoluta carenza dei collegamenti tra reparti: il battaglione "Antelao" che agiva sulla destra, il "Belluno" che avanzava al centro e l'"Albergian" in movimento sulla sinistra. Il colonnello Tarditi non aveva previsto alcun sistema per comunicare la progressione della manovra ed anche Fortini non aveva modo né di segnalare la sua presenza, né di comunicare che degli austriaci, lì dove lui si trovava, non v'é più traccia. Nessun razzo di segnalazione, nessun segnale ottico, solo parole d'ordine che, disgraziatamente, erano state fraintese. Sul fare di quel giorno, una domenica di luglio, la tragedia si è ormai consumata: Michele Fortini, volontario di guerra, è caduto ai piedi del Castelletto nei pressi di quel Sasso già bagnato dal sangue di tanti altri. Il comandante della compagnia, il capitano Carlo Rossi, scriverà al padre di Michele due accorate lettere che però, per ragioni di opportunità, non accenneranno minimamente al fatto che il sottotenente Fortini e il suo uccisore - entrambi alpini - sono morti a causa di un tragico malinteso.
"15 agosto 1916
Gentile Signore, Per l'affetto che mi ha sempre legato ai miei ufficiali, sento il dovere di darle io per primo la notizia della morte gloriosa del suo Michelino, avvenuta in combattimento all'alba del 30 luglio. Fu un eroe vero; primo tra i primi del suo plotone, attaccò arditamente un reparto nemico che ci fronteggiava e lo ricacciò dalla sua fortissima posizione. Proseguì poi entusiasticamente, di vittoria in vittoria tenendosi sempre alla sinistra della mia compagnia. Alle ore 2 del 30 luglio, una ferita alla testa spezzò in un lampo la sua giovane preziosa esistenza. Un alpino, il suo attendente che gli era rimasto vicino durante tutta l'azione, freddò con un colpo l'uccisore. Ho avuto con me da nove mesi il suo figliuolo ed ho sempre apprezzato le sue belle qualità di mente e di cuore, ed ho ammirato il suo valore, il suo entusiasmo. La vita passata insieme di fronte al nemico ci legò con vero affetto. La sua morte gloriosa, mentre rende orgogliosi noi tutti per averlo avuto a compagno d'armi, ci ha addolorati profondamente. A nome mio, dei miei ufficiali, di tutti i miei alpini invio a tutta la famiglia le più vive sincere condoglianze. Il nome di suo figlio vivrà sempre nei nostri cuori e nei nostri ricordi più sacri. La salma fu da noi stessi raccolta e sepolta nel più vicino cimitero; una croce col suo nome indica per ora il posto: i miei alpini, i miei ufficiali hanno deciso di collocare presto sulla sua tomba un piccolo monumento. Tutti gli oggetti di sua proprietà e i valori sono stati oggi spediti al Comando Deposito del 7° Alpini Belluno. Rinnovo le mie personali condoglianze ed esprimo i sensi della mia stima.
Cap. Carlo Rossi
"

"18 agosto 1916
Gentilissimo Signore, In un momento di riposo rispondo alla sua lettera che ho letta anche ai miei ufficiali. Il suo figliuolo fu sempre ardito, valorosissimo, e mia cura fu appunto quella di frenarlo. Nella vita pericolosa della trincea, nelle ascensioni ardite, non conosceva difficoltà; i suoi alpini ne erano orgogliosi e lo amavano. Coi compagni ufficiali, con me stesso, era unito da forte simpatia, da vera amicizia portata nella vita in comune, fatta lungamente di fronte al nemico. Aspettava il giorno della prova; qualche mese fa gli affidai una importante ricognizione da eseguire al di sopra dei 3000 metri; la compì con slancio e capacità meravigliosi[6]. Da quel giorno l'attività della mia compagnia fu rivolta alla preparazione di un attacco contro una compagnia nemica a noi di fronte, in posizione fortissima, coperta da reticolati; tutti i grossi macigni erano vere fortezze, li avevano perforati per piantarvi mitragliatrici. Prima di noi, altri avevano inutilmente attaccato quella posizione. L'impresa era arditissima per noi, e questo ci rese più attivi nella preparazione [...[7]]. La nostra azione continuò nei giorni successivi, ma suo figlio non ebbe parte importante. Nella notte dal 29 al 30 luglio, alla compagnia fu dato altro difficile incarico, e pel valore di tutti, ufficiali e truppa, l'azione riuscì brillantemente come già scrissi nell'altra mia. Ma la gloria e l'entusiasmo della vittoria furono turbati dalla dolorosissima perdita del migliore dei miei ufficiali, avvenuta proprio quando la vittoria era per noi completa. Dirle dov'è caduto non è facile, non avendo ella carte topografiche. La città più vicina è Cortina d'Ampezzo, da un anno redenta. Potrò fra qualche giorno darle la fotografia del posto. Suo figlio fu raccolto da noi, e con ogni cura sepolto in un cimitero militare. Le farò tenere una fotografia della sua tomba su cui noi stessi, per noi che lo conoscemmo e lo amammo, per la sua famiglia lontana, deponiamo spesso i fiori di queste Alpi che lo videro Eroe. In seguito potrò darle dati precisi e dopo la pace accompagnarla io stesso sul luogo del combattimento e sulla sua tomba. Tra gli oggetti suoi che ho spediti al deposito del 7° Alpini vi è qualcuno preso al nemico: un tascapane, sacchi tirolesi, una borraccia, un binocolo, dieci volumi tedeschi; erano i suoi trofei di guerra e li teneva con ogni cura. Il cane oggi sono riuscito a ritrovarlo e lo terrò qui per lei: alla prossima occasione lo avrà. Per qualunque cosa si rivolga a me liberamente: sono a sua completa disposizione e sarò fortunato se potrò esserle utile. Creda, il nome di suo figlio è scritto a caratteri d'oro nella storia degli Alpini e noi tutti siamo orgogliosi di averlo avuto a compagno. Sono certo che presto potrà essere consegnato a lei il segno dei valorosi che, era mio desiderio, doveva fregiare il petto di suo figlio. Le porgo i saluti di tutto il battaglione e le stringo la mano.
Mi creda, devotissimo Cap. Carlo Rossi
"

Il 14 ottobre del 1917, in piazza Vittorio Emanuele a Campobasso, si svolge una solenne cerimonia per la consegna delle medaglie al valore ai congiunti di 20 caduti. Quel giorno, a ricevere una medaglia che poco li consola, sono presenti anche i famigliari di Michele Fortini. In suo onore Isernia, la città natale, gli dedicherà il nome di una via e una lapide collocata presso il Liceo classico "Fascitelli".

NOTE

Per le informazioni ricevute si ringrazia la biblioteca "Michele Romano" del Comune di Isernia
[1] La fanfara dell'Antelao intona la "Marcia Alpina delle Tofane".
[2] Si riferisce all'azione contro il Sasso Cubico, quando resta ucciso il Capitano austriaco Barborka.
[3] Disposizione n. 31 pubblicata sul Bollettino Ufficiale del 1917.
[4] Tratto da: Le aquile delle Tofane" Luciano Viazzi - Mursia Editore - Milano.
[5] Tratto da "Cosa accadde al Sasso Misterioso in Val Travenanzes la notte del 30 luglio 1916?" a cura di Paolo Gaspari - Gaspari Editore - Udine.
[6] Si riferisce all'azione del 17 giugno per l'occupazione del "vecchio osservatorio austriaco" situato sul costone che dalla vetta della Tofana I scende verso le Tre Dita.
[7] La parte mancante della lettera è stata precedentemente riportata descrivendo l'azione al "Sasso Cubico".