La mina del Castelletto
11 Luglio 1916
												In un raggio di alcune centinaia di metri gli italiani il 10 luglio sgombrarono tutti i 
												ricoveri sotto il Castelletto. Il piano prevedeva che:
												- un gruppo della forza di una compagnia risalisse il famoso canalone
												- il gruppo dei minatori (cap. Rodari, con 
												Malvezzi e 
												Cadorin) accorresse attraverso la 
												galleria Tissi: una pattuglia si doveva staccare, salire il Camino dei Cappelli e da lì appoggiare 
												l'attacco
												- altri 20 uomini (s.ten. Pieri) dovevano 
												salire fin allo Scudo
												- i Volontari Feltrini si sarebbero appostati sulla parete della Tofana I a q.2900 per sparare 
												contro gli austriaci
												Il comando era affidato al magg. Neri.
												
												Nella notte tra il 9 ed il 10 luglio era giunto sul Castelletto un grosso plotone della 
												StreifKompanie 6 (alf. Schneeberger). 
												Il 10 luglio le posizioni del settore Lagazuoi rimasero sotto il fuoco dell'artiglieria 
												italiana, che dopo le 3 dell'11 luglio divenne tambureggiante.
												Il 10 luglio salirono sull'Averau il 
												Re, il gen. 
												Cadorna, il comandante della 4ª Armata 
												gen. Di Robilant ed il gen. 
												Tarditi.
												Lo scoppio è fissato per le 3:30 dell'11 luglio: in perfetto orario 
												Malvezzi innesca gli esploditori nella 
												galleria del camminamento. Questi i racconti rispettivi del 
												Pieri e del 
												Burtscher relativi alla tremenda 
												esplosione:
												
												"Dalle 3 alle 3,30 fu un'ansiosa silente attesa, rimasta indelebilmente impressa nella memoria 
												di quanti si trovaron presenti: non si udivan neppure bisbigli, tutti eran compresi della novità e 
												della strana e misteriosa grandezza del momento: gli ultimi minuti furono addirittura angosciosi: 
												a un tratto una scossa di terremoto e subito dopo, nella notte scintillante di stelle un polverio 
												immenso e il frastuono di una enorme valanga, e poi, tutto intorno al Castelletto, un precipitar 
												di massi dalle pareti della Tofana, che continuava e che pareva interminabile, in quei minuti, in 
												quei secondi d'attesa angosciosa e febbrile. E subito dopo il rimbombo di tutte le artiglierie e 
												le vampe degli spari per la chiostra dei monti retrostanti, e un sibilare di piccole granate e un 
												passar alto e grave di grossi proiettili, e tonfi sordi e scoppi ..."
												
	
												"D'un tratto, un poderoso schianto, un rimbombo pauroso soverchiarono il fragore prodotto dal 
												fuoco dell'artiglieria; al tempo stesso la terra sembrava tremare; era l'esplosione dello 
												Schreckenstein. Schegge rocciose volarono fino alla Feldwache 14, sulle pendici del Gran Lagazuoi; 
												da lontano le vedette scorsero la sella del Castelletto e le torri più a sud sollevarsi in una fiammata, mentre l'intera parete sembrava inclinarsi.
												Sul Castelletto stesso l'effetto dell'esplosione fu formidabile: una parte della sella si innalzò 
												fino al livello del posto di vedetta Schneeberger, le torri a sud sparirono, frammenti di rupi 
												volarono all'intorno e si abbatterono strepitosamente al suolo. Tutto il tratto di terreno ove, 
												in periodi precedenti, si erano eretti dei ricoveri, fu ricoperto di macerie. Presso la baracca 
												dell'ufficiale, che era assicurata alla parete rocciosa mediante funi metalliche, queste si 
												incisero nelle travi per una profondità di 20 cm. Cadaveri deformi vennero proiettati in alto dal 
												suolo e dalle rocce."
												
												La mina secondo le previsioni doveva distruggere la sovrastante massa rocciosa di 26 metri (la I 
												Guglia) e lanciare massi sulle rimanenti due e sui rovesci del Castelletto. In gran parte ciò si 
												verificò e provocò da parte austriaca la perdita delle due vedette e di circa una ventina di 
												uomini che, contrariamente agli ordini, si stavano riposando nel ricovero avanzato.
												Ma la mina ebbe anche un effetto non previsto: le pareti del canalone centrale e le sovrastanti 
												rocce si ridussero "come una specie di immenso intonaco sfaldantesi". Per tre volte gli alpini 
												della 77ª tentarono di lanciarsi nella risalita del canalone senza alcun esito.
												Anche la colonna di minatori che ha tentato di attraversare d'un balzo la zona del fumo rimane 
												intossicata dal "pojàn": i colpiti da questa forma di avvelenamento (che i minatori dell'epoca ben 
												conoscevano) sono decine, ma si registra un solo caduto (l'alpino Bortolussi) e comunque anche da 
												questo lato l'avanzata non risulta possibile.
												La squadra dello Scudo, tra pioli delle scale rotti e scale frantumate, impiega più del previsto 
												per giungere nella posizione prevista e qui osservare che:
												 - il filo telefonico è rotto;
												 - le munizioni ed il lanciabombe sono efficienti;
												 - la I Guglia è letteralmente scomparsa e dalle altre due sono sparite le tracce delle postazioni 
												austriache.
												Però dalla base della III Guglia (sopra Forcella Col dei Bos) si levano due razzi verdi, cui ne 
												rispondono due di uguali da Cima Falzarego, segno che il presidio austriaco è tutt'altro che 
												dileguato. La squadra decide allora di agire in fretta e l'ufficiale ordina di partire ad 
												intervalli regolari di 20 metri. Ma giunti alla testata del Camino dei Cappelli, i primi 4 uomini 
												vengono bloccati dagli austriaci che avevano già occupato le rovine di fronte al cratere. I 4 
												decidono dunque di scendere verso la finestra della galleria per studiare il da farsi, ma uno è 
												ferito e la discesa è lunga e difficile: a metà strada, sulle rocce sovrastanti appare una squadra 
												austriaca di 15 uomini (guidata da 
												Schneeberger) ma l'artiglieria 
												italiana delle Cinque Torri la mette in fuga con gli shrapnel; l'artiglieria austriaca risponde 
												con i lanciabombe ed uccide uno dei quattro italiani (Luigi de Pellegrini). L'ufficiale italiano 
												(Pieri) si salva solo perchè la tracolla 
												del fucile che ha tolto al ferito si incastra tra le rocce. I superstiti riescono comunque ad 
												arrivare alla finestra, a liberarla dai massi che la ostruiscono ed a mettersi quindi in salvo.
												A Forcella Bos la 78ª e 79ª del Belluno e la 106ª 
												del Monte Pelmo (ceduta in marzo dal Belluno stesso) 
												non possono avanzare causa la continua pioggia di massi dal Castelletto. Verso l'alba gli alpini 
												avanzano verso il Sasso Misterioso ma dalla III Guglia e dal Sasso stesso inizia un fuoco di fucili 
												e di mitragliatrici cui si aggiungono granate a shrapnel. 
												Sul lato sinistro non va meglio in quanto le altre due compagnie del 
												Monte Pelmo non possono avanzare dato che il 
												Monte Albergian non ha occupato Cima Falzarego 
												avendo trovato i reticolati austriaci intatti.
												
												Nonostante tutto le perdite non furono gravissime (26 morti di cui 20 evitabili in quanto quei 
												soldati si stavano riposando in una baracca che era stata dichiarata come "da abbandonare") e così 
												l'alf. Schneeberger fece occupare i 
												posti di guardia mentre il ten. Tomsa e l'alf. Guem si recavano al lanciabombe ed al cannone.
											
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